martedì 27 maggio 2014

Guida galattica per cassieri rampanti ecc.. [Il Cliente Anziano Mattiniero]

Saaalve a tutti!

Come scritto nella PREMESSA, servendomi di una narrazione sopra le righe, descrivo il mondo che si cela dietro il lavoro di un cassiere in un bar. 
Nel primo capitolo elenco i personaggi più divertenti che ho incontrato e le mie reazioni ad ogni loro richiesta. 
Nel secondo all'oggettivistica e cioè a quell'insieme di suppellettili (vedi: bustine di zucchero, acqua, giornale ecc..) messi a disposizione degli avventori ma che.. 

...vabè lo scoprirete leggendo il blog ogni settimana. 

QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALI È FRUTTO DI VERE ESPERIENZE DIRETTE CON UN PIZZICO DI IRONIA, VALIUM E NON SENSE. 

Buona lettura!


[Perché una guida]

  • CAPITOLO I 

[Tipologie di Clienti - Volti] 



PARTE I   [I volti del mattino]

PARTE II  [Lo Scroccone - Quella signora altolocata]
PARTE III [Il Sordomuto - Il Pignolo]
PARTE IV [L'ansioso - Quello che salta la fila]
PARTE V  [Il cliente e il bagno - Il critico]
PARTE VI [Il cliente nostalgico del ventennio]
PARTE VII [Il cliente extracomunitario]

PARTE VIII - Il Cliente Mattiniero -



Per ogni lavoratore che si sveglia presto al mattino c'è un anziano cliente che si sveglia prima. 

La mattina di Pantaleo inizia alle 5, 59. 
Quarantasei minuti prima della mia sveglia. 
Ma Pantaleo, settant'enne energico e pieno di vita, in un minuto è già pronto per andare al suo bar di fiducia dove lavoro io, ovviamente. 
La moglie Concetta, intanto, che si è alzata ancora prima del marito perché la donna deve trovarsi sempre pronta quando il marito si sveglia, ha già lavato casa, passato l'aspirapolvere e preparato i vestiti. Pantaleo, si alza, si lava, si rade, fa i suoi bisogni e con bretelle, camicia, pantalone e maglioncino è pronto per uscire. 
"Concetta, sta bau allu barra! Serve nienzi?"
"Pantaleu miu, nu sacciu, pija mezzu chilu de cafè e lu zuccaru ca ha spicciatu."
"Vabbene. Ciao!"
E dopo aver lanciato un occhiata alla Humprey Bogard, sbatte la porta e castima qualche santo perché il tappeto lo ha fatto inciampare. 
Cita: Benvenuto. 
"Ce cazzu me nde futtu", risponde Pantaleo. 
E continua "ci cazzu a benire a casa mia, benvenutu stu cazzu". 
Uscito da casa, un condominio dalle tinte grigie, immerso nella ridente città, Pantaleo alza gli occhi al cielo. Il sole è sorto da poco, qualche nuvola copre l'orizzonte ma si preannuncia una bella giornata. 
Alle 6.45 di un mercoledì qualsiasi. 
Che è l'orario in cui io sono ancora in bagno e mancano solo quindici minuti all'apertura del bar, dieci considerando il tempo per arrivare e parcheggiare. 

Quando sono pronto, alle 6, 54, corro via da casa, lasciando la mia sagoma a nuvoletta come nei cartoni animati.
Il sole è sorto e penso "la prima cosa che faccio appena finisco di lavorare è andare a dormire". So benissimo che prendo solo in giro me stesso però il solo pensiero mi fa stare bene. 
Mi fa sentire quasi riposato. 

Ogni mattina un lavoratore si sveglia e sa che dovrà correre prima del cliente anziano mattiniero
se non vuole sentirsi dire:

"T'ha discetatu tardu eh. Ca te sta spiettu da menz'ura".
"Chi ha parlato?"Mi chiedo. 
Sento solo puzza di fumo di sigaretta e voltandomi mi ritrovo questo arzillo vecchietto. 
Io, con gli occhiali da sole per proteggermi dalla luce del sole, da solita creatura notturna, mi sento rimproverare. 
Poi penso "ma noi apriamo alle 7" e glielo dico.
Mi risponde "sisi, alla mia età a quest'ora eravamo già nel campo da guerra".
Guerra, guerra. scorro il vocabolario nella mia mente e le uniche cose a cui penso sono: call of duty e battlefield. 
"Ah, sì. La guerra. È bella finchè non ti cade la connessione wi fi."
"Cene?"
"No, niente, niente".
Apro il bar. 
Alzo le saracinesche e abbasso le tende. 
Accendo luci, sistemo carte, cassa, soldi. 
Tutto in un ordine pre stabilito. 
Nell'ombra, però, vedo ancora lui: il vecchietto.
È vigile alla cassa, impeccabile e con il dito puntato sulla vetrina del caffè. 
"Allora fammi mezzo chilo di questo caffè e un pacco di zucchero."
"Sì, un attimo."
"Sempre un attimo, giovanotto che non ho tempo da perdere."
"Dio, perché mi fai questo? perché?" pensi dentro di te. 
Glielo prepari con ancora indosso gli occhiali da sole, glielo macini e glielo porgi.
"Sono.. 11,00 euro.." gli dici con voce assonnata.
"Ecco a te." Ti porge cento euro.
CENTO EURO.
Guardi la banconota, poi lui e poi la cassa vuota.
Sbatti le palpebre convulsamente.
"Scusi ma non ha spicci?"
"Eh.. se ce li avevo te li davo."
"E io dove li cambio a quest'ora?"
"Siete un bar dovete avere soldi spicci"
"Mmh.. quella è la banca.."
"Senti bello mio o me li cambi o non prendo niente!"
Dopo dio passo a Buddha "Buddha perché mi fai questo? Perché? Sono stato sempre un simpatizzante della tua religione!"
Sono le 7 e 09, non c'è nessuno, l'odore del caffè appena macinato si diffonde nell'aria e io a fissare il verde della banconota e a pensare a quante me ne servirebbero per andare in Madagascar e non tornare più.
"Beh, giovine se sta face menzatia!"
Alla fine riesco a trovare il resto, dopo aver corso per l'isolato per trovare i soldi.
Col cuore in gola e il fiatone "anf.. anf… ecco a lei"
Lui apre il portafoglio per mettere dentro i soldi e scopro che ce li aveva spicci.
Mi guarda e mi fa "no, questi non te li potevo dare perché li devo metterli nel salvadanaio. Per nepetume, non sai?!"
E se ne va.

Io indosso l'impermeabile dell'ironia, tolgo gli occhiali da sole e sono pronto per una nuova giornata.
CHE SUPERMAN MI AIUTI.

marcodemitri®

martedì 20 maggio 2014

Guida galattica per cassieri rampanti ecc.. [Il Cliente Extracomunitario]

Saaalve a tutti!

Come scritto nella PREMESSA, servendomi di una narrazione sopra le righe, descrivo il mondo che si cela dietro il lavoro di un cassiere in un bar. 
Nel primo capitolo elenco i personaggi più divertenti che ho incontrato e le mie reazioni ad ogni loro richiesta. 
Nel secondo all'oggettivistica e cioè a quell'insieme di suppellettili (vedi: bustine di zucchero, acqua, giornale ecc..) messi a disposizione degli avventori ma che.. 

...vabè lo scoprirete leggendo il blog ogni settimana. 

QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALI È FRUTTO DI VERE ESPERIENZE DIRETTE CON UN PIZZICO DI IRONIA, VALIUM E NON SENSE. 

Buona lettura!


[Perché una guida]

  • CAPITOLO I 

[Tipologie di Clienti - Volti] 



PARTE I   [I volti del mattino]

PARTE II  [Lo Scroccone - Quella signora altolocata]
PARTE III [Il Sordomuto - Il Pignolo]
PARTE IV [L'ansioso - Quello che salta la fila]
PARTE V  [Il cliente e il bagno - Il critico]
PARTE VI [Il cliente nostalgico del ventennio]


PARTE VII - Il cliente extracomunitario 

*nessuno nero è stato maltrattato per il post*

in un luogo sconosciuto.
In una casa le luci accese lasciano intendere che c'è qualcuno all'interno.
Un fulmine squarcia il cielo e illumina una terra devastata dalla guerra.
C'è un insegna con scritto "Scuola per Vu cumprà".
È la casa dove sono forgiati i clienti extracomunitari.


A quanto pare, una volta ultimati, giungono in Italia con il compito di elemosinare più soldi possibile. 
I loro piani, ambiziosi, si estendono al di la della terra del Bel Paese ma prima di realizzarli devono accumulare risparmi. 
E nella terra dove se qualcosa non si può fare-chi-se-ne-frega-facciamola-lo-stesso è il luogo ideale per iniziare una nuova vita da vivere da qualche altra parte, poi.
Qui, nella scuola per elemosinanti, guidata dai capi maggiori delle stirpi locali rom, imparano i segreti per diventare abusivi perfetti e si riversano, come se non esistesse un domani, in ogni locale a loro accessibile e fregandosene se non lo è.
Ma, a seconda dell'indole, ogni soldato vu cumprà si specializza, chi l'elemosina, chi lo spaccio, chi la vendita di merce contraffatta e chi il parcheggiatore, sempre senza dare noie ai capi ROM perché loro comandano, almeno nelle piccole realtà.

“Mamma, mamma, in Italia il capo di tutti può avere tante donne e tanti soldi”
“Mustafà, se lo vuoi veramente: continua a masterizzare CD!”
“Sì, mamma!”. 
Il sorriso a trentaquattro denti, la pelle nera e la brezza a coccolare l’idea di un futuro migliore.

Qui la storia di uno di loro, realmente accaduta e con me protagonista, ovviamente. 

giorni nostri. 
In una giornata piovosa che ti colora lo humor di nero, entra lui

IL CLIENTE EXTRACOMUNITARIO.



Alto e muscoloso e di certo non la persona ideale a cui andare e dire "basta, per favore esca", entra velocemente nel bar fino il bancone.
Si sfila il cappello, lo capovolge nelle sue mani grandi e..
.. inizia a piangere.
Sì, si mette a piangere. 
Allora tu, vedi questo tizio, il gemello di The Rock, con persino il sopracciglio alla The Rock, piangere perché vuole qualche moneta. 


"Ti prego signore, dai da mangiare.. Ho fame.. Ti prego.."
Io lo guardo e mi rattristo così tanto che la mia coscienza prende il sopravvento. 
"Poverino, chissà quanti chilometri ha fatto. Che stronzo che sei dagli l'incasso della giornata! Tanto oltre Equitalia a chi dovresti darlo scusa?!"
È vero.
L'oscar era nelle sue mani, stavo per piangere anche io.
Applausi, momento toccante. 
Sono ormai deciso: stacco la cassa e gliela porto. 
Nel frattempo i clienti nel bar consumano ed escono e restiamo solo solo io, i ragazzi dietro il bancone e lui.
Un lampo illumina l'interno del bar e i nostri volti e a seguire il boato del tuono.  
Squilla il telefono. 
È il suo. 
Si asciuga le lacrime, infila la mano dalla tasca e prende l'iphone.
L'IPHONE.
Sento le sue risate, vedo il suo sorriso mentre parla al telefono. 
Non solo: si volta verso il bancone e ordina al barista:

"Tu agua amigo! Dai amigo, agua su!"

Siamo suoi servitori.
Beve, volta le spalle, e va via: al telefono e in ciabatte. 
Io resto a guardarlo da dietro la vetrina con la cassa in mano. 
Ascolto le sue parole perdersi nei suoni del traffico.
Il passo da gigante, l'andatura strafottente e la pioggia che batte forte sul suo capo ma a lui sembra non interessare. 

Poi guardo le mie scarpe rotte, il mio iphone rincoglionito e dico a me stesso:
"Tu sei il vero negro, tieni gli spicci e comprati qualcosa di decente". 

marcodemitri®

domenica 18 maggio 2014

TIFA LA SQUADRA DELLA SCUOLA DEL FIGLIO: LECCESE BRUCIATO SUL ROGO AL GRIDO "BARESE"

Lecce (Le) - Regione Salento



Erano le prime luci dell'alba quando gli inquirenti hanno scoperto il corpo senza vita di Giordano Arese, un trentenne di Lecce.
Dai primi accertamenti risulta che l'uomo è stato arso vivo per aver tifato la squadra del figlio, vincitrice del campionato della scuola.
Complice il clacson suonato dal bambino orgoglioso della vittoria e dalla sciarpa che aveva lasciato sventolare dal finestrino dell'auto, Giordano è stato seguito fino a casa da una folla di suoi compaesani che al grido di "barese" lo hanno crocifisso.
"Mio figlio non seguiva il calcio, non mangiava nemmeno formaggio!" grida la madre mentre nel vicinato qualcuno mormora "hanno fatto bene perché a Lecce si tifa solo il Lecce!"
"Era un monello, la figa gli aveva fattoh maleh alla teshta" l'accusa del nonno. La moglie Antonella che lo ha sempre incoraggiato "Giordano era una brava persona, amava esplorare, conoscere. Non aveva mai dato fastidio a nessuno", si appresta ad iniziare una lotta senza quartiere per avere le spoglie del marito sepolte in terra salentina mentre gli ultrà annunciano di voler fare ricorso al Tar.
Sull'orizzonte una dura battaglia nella regione del sole, del mare e del vento dove si difendono a denti stretti i propri colori.
Giallorossi: rabbiosi e gelosi.


Frantumi®

venerdì 16 maggio 2014

Godzilla 2014 [Recensione]

In fin dei conti di Godzilla mi è dispiaciuto.
Un mostro alto sessanta metri che, a causa di pregiudizi, è costretto a nascondersi sott'acqua per centinaia di anni e a riemergere solo per aiutare l'uomo a combattere uccelli in calore creati da lui stesso.
È un po' l'iperbole dell'immigrato che giunge in Italia con un barcone e deve combattere contro tutti e tutto per difendere i suoi diritti e aiutare lo stesso Paese a crescere.
Ma questo è un altro discorso.



La storia del mostro con manie distruttive nasce in USA, circa nel '52, con il film "Il risveglio del Dinosauro", ispirato ad un racconto di Bradbury tra l'altro.
Inizialmente si trattava di un varano ibernato nel Polo Nord che si risveglia per una bomba atomica e decide di distruggere New York. Sì, sempre New York.
Ray Harryhausen, il leggendario mago degli effetti speciali scomparso nel 2013, riuscì a rendere spaventoso in stop - motion (per chi non avesse presente questa tecnica rimando alla visione di Fantaghirò) questo pupazzo dalla pelle dura e dal lancio della fiamma di radiazioni.
Successivamente i giapponesi colsero l'idea e nel '54 lo trasformarono in Gojira, un kaiju (un mostro), gigantesco di una cattiveria inaudita.
Invece di New York scelsero Tokyo e ci infilarono tanto anti americanismo.
Divenne presto il simbolo della denuncia giapponese agli orrori compiuti dagli americani a Hiroshima e Nagasaki tanto che fu trasformato in un difensore della stessa terra nipponica.
Il franchising di una delle figure più celebri del cinema fantascientifico fu, così, avviato e il lucertole entrò, a pieno titolo, nell'immaginario collettivo come il re dei mostri.

Nel 1998 Emmerich riprese in mano il personaggio per girare un remake del primo americano, quello del '52. Ma non riuscì a trasmettere la tragicità (perdonatemi) del nostro caro Godzilla. Si trattava di una scusa per distruggere, nuovamente, la Grande Mela da parte di un (bellissimo) dinosauro svegliato bruscamente dal sonno.

Oggi, a distanza di quindici anni, e sessanta dall'originale, esce il remake del film giapponese contestualizzato ai giorni nostri e forse anche il migliore mai dedicato.
Ora, in questo genere di film il primo dato fondamentale, inscindibile per la riuscita, sono gli effetti speciali e il ritmo. Da questo deriva un fatto importante per gustarselo: la semplicità della visione.
Non si può storcere il naso adducendo come scusa la mancanza di verosimiglianza. Si partirebbe da un presupposto sbagliato: sei seduto a vedere la foga di un dinosauro mutato geneticamente e a meno che tu non sia un complottista, non puoi pretendere molto realismo.
Messo in chiaro questo, una premessa da non sottovalutare, possiamo discutere di un altro fattore: la verosimiglianza dell'inverosimiglianza.
So che potrebbe sembrare una follia ma bisogna capire che quando si vede un film del genere ci deve essere una struttura emotiva e tecnica da non permetterti di stare lì, solo seduto, ad osservare passivamente lo spettacolo. È una regola non scritta dei film d'azione.
Il compito del regista è, infatti, quello di trasmettere l'emotività dell'azione.
Ed a questo punto che scende in gioco il ritmo.
Ed è qui che il film è ben fatto.
Anche per gli stessi attori sembra essere una corsa a staffetta dove la storia scorre tra i caratteristi principali.
Attraverso una ottima resa delle emozioni dei protagonisti e ad una scelta non esagerata della simbologia oltre che degli effetti speciali, l'opera è avvincente e coinvolge lo spettatore nella visione.
Vi troverete nel finale a battere la mani, ad esempio e credetemi: non è una cosa da tutti.
L'esordiente Gareth Edward primeggia l'uso di immagini suggestive e dettagli, quasi insignificanti, vedrete inquadrati principalmente bambini e animali, per comunicare meglio la devastazione psicologia e fisica dell'essere.
Non è solo l'elemento "Kaboom" a primeggiare, c'è anche il pianto e il respiro affannato dei soldati e dei senza tetto, il suono dei vetri che si infrangono (non ricordo quando è accaduto di sentirli in altri film dello stesso genere) oltre il potente e terribile urlo del mostro e la sua fantastica entrata in scena.
Dispiace solo per alcune scelte di sceneggiatura troppo veloci e un apparente americanismo che poteva essere giustificato meglio.

È dunque un bel film che vale la pena vedere anche solo per gridare "vai GO JI RA ci ha salvato da noi stessi".
Ancora una volta.

marcodemitri®

giovedì 15 maggio 2014

Ehi, se mi voti ti regalo Federica Nargi. [Elezioni studentesche]



L'ultima volta che mi sono sentito così importante per qualcuno è stato quando mi invitarono a pesca: io ero il verme.
Ma sulla bacheca dei cuori solitari, oggi, posso aggiungere un altro momento: quello delle elezioni studentesche.
La mattina non è delle migliori: il sole è coperto e la tramontana soffia troppo forte.
"Il vento del cambiamento"potrei urlare se non fosse per il nervosismo che si respira nell'università.
È il secondo e ultimo giorno e i candidati insieme i loro accoliti e factotum sono con i nervi a fior di pelle.
Alcuni sono riversati sul marciapiede, con indosso magliette strappate e la testa tra le gambe piangono: io volevo solo diventare famoso come Obama.
Altri ti fermano per chiederti se hai votato e mentre si voltano per prendere carta e penna e scrivere col sangue il loro nome, vedo la coda biforcuta uscir fuori dal loro coccige.
"No, il Dottor Faust mi ha spiegato come stanno le cose, guardi, un'altra volta" mi congedo.
Lui, però, si indispettisce e mi condanna alla dannazione di non avere le sbobbinature.
Poi l'urlo di Godzilla e la gente scappa via, con le mani tra i capelli, dai seggi.
"Mancano voti e non c'è molta affluenza, aumentiamo i caffè da offrire!"
Non c'è tempo per riflettere, bisogna fare qualcosa.
Non è poi così diverso il lavoro del PR del Gwendalina, a questo punto.
Il vento continua a soffiare e tra i tavolini del quartiere generale di giurisprudenza, il bar, fogli di giornale svolazzano.
I telefoni dei ragazzi seduti accanto gareggiano sul tavolino l'uno accanto all'altro a colpi di vibrazione.
"Pronto? Sì.. Sì, non ti preoccupare. No, tranquillo. Ho detto sì: ti voto!" rispondono tutti, in coro.
O quasi.
Mi dicono, sempre in coro come bambini delle elementari alla maestra: "è la sesta volta che mi chiamano per il voto. Non ce la faccio più."
Per i complottisti le elezioni per i candidati maschi che chiamano e mandano messaggi ai "potenziali elettori" maschi sono in realtà una scusa per dichiarare la loro omosessualità.
Per le persone normali: è solo la paura di ritornare ad essere studenti come tutti gli altri, senza tanti like su facebook, a spaventarli.
E noi, ultime ruote del carro, esseri inutili per 363 giorni l'anno (ad eccezione degli anni bisestili in cui sono 364), fuori corso e in corso, ricchi e poveri, cugini di campagna, non possiamo permetterlo.
Andiamo a votare chi ci da gli appunti gratis.
Chi ci sposta gli esami.
Chi, ogni anno, subisce le lamentele "ma xkè sl portale le taxxe nn ci sn??!".
E chi fa da prestanome ad ogni richiesta.
Fatto.
Uscendo dal seggio la giornata sembra più bella; ci siamo tolti un peso.
Adesso, ogni volta che incontriamo un candidato alziamo il pollice in alto come i romani durante gli spettacoli al Colosseso e facciamo cenno di sì.
"Sì, ti ho votato amico."
Lui risponde strizzando l'occhio perché non può far altro.
Shh, il voto è segreto.
Insomma, noi umili servitori del sistema delle nomenclature abbiamo detto sì al sistema delle nomenclature e possiamo tornare a casa, contenti, di essere serviti a qualcuno o a qualcosa.
Per una volta. 
Tutto sommato è bene quello che finisce bene.

Il giorno dopo.
I manifesti senza volto, incollati con diversi giri di nastro adesivo, vibrano forti dalle ringhiere.
L'università è un campo di battaglia, ci sono bigliettini strappati con nomi amputati.
"Ehi, ciao, com'è andata?
"Ci conosciamo?"
"Ma ti ho votato.."
"Embè? Mica ho vinto".

Prot.

marcodemitri®

sabato 10 maggio 2014

Ho scelto giurisprudenza perché mi piace dire "Studio la legge!"

Per la serie “e poi si l’aureano”: ma non provate un certo sdegno ad ascoltare gente ignorante ed analfabeta che striscia per i corridoi della facoltà masticando parole con cadenza dialettale in cui si riescono persino a sentire le volte in cui il “che” diventa “ke”?


Mentre molti di voi sono seduti al tavolino del bar con indosso occhiali da sole e intenti a sottolineare l’ultimo libro di Diritto Costituzionale – fotocopiato nella migliore copisteria di Lecce. Ah, avete notato che le copisterie fanno lo scontrino? Come dire, fottiamo lo stato ma lo facciamo con garbo. E ovviamente a questo punto partiranno i vari sproloqui a difesa del portafoglio “ma no, non è possibile pagare un fottio di soldi per acquistare un libro”; però se posso darvi un consiglio, non sfoggiate il vostro iPhone mentre lo dite. Sareste senza cuore. 



Peggio di chi ha progettato i mirabolanti parcheggi della facoltà: un tetris. 
Io fossi in sovrappeso gli farei causa. Cazzo, esci dalla macchina e ti trovi incastrato. Anzi, proporrei quel parcheggio come motivo in più per dimagrire. 
Altro che Giorno&Notte, io farei parcheggia Giorno&Notte.



E che dire della “nuova” struttura di giurisprudenza di Lecce? Che poi è una struttura a metà strada tra un quadro di Escher e un acquapark. Prendi una scala e non sai dove giungi. C’è gente rimasta persino intrappolata; altrimenti non si spiegherebbe l’esorbitante numero di fuoricorso.


Perché: 



“Oltre le dimensioni che l’uomo conosce ne esiste un’altra, una quinta dimensione quella dei fuoricorso ai confini di Monteroni.



Mi è venuta un’idea: organizziamo giornate di lettura collettiva. Un po’ come succede nelle varie riunioni anonime. Già mi immagino “Ciao, sono Tizio. Sono 350 giorni che non uso una K. L’altro giorno, per esempio, non ho avuto il coraggio di entrare in un negozio KAPPA. Oh no, l’ho fatto di nuovo”.
E vi prego chiamatemi il sergente Hartman, sai che spasso con tutte quelle parolacce.



No sul serio, io frequento una facoltà che fa della conoscenza dell’italiano il suo perno centrale. Non si può assolutamente prescindere da ciò. Non perché sia vietato, chiariamoci, alla fine anche Di Pietro si è laureato e ha avuto una carriera quantomeno apprezzabile. Però un esame non può essere sostenuto con espressioni del tipo “No perché cioè allora” o il più amato “Dicevamo che”. 



Ci sono storie che quando le racconti: le racconti.

Tipo quella del Lombroso. Sì, Lombroso. Ripetete con me con schiocco di lingua: Lombroso. 
Chi lo conosce alzi la mano. 
Nessuno.

Il professore fu in quel momento che si sentì il solito secchione di turno. Solo. 

Stessa scena per Dei Delitti e Delle Pene. 
Su le mani chi lo ha letto: nessuno.
 Comunque Lombroso è un simpatico tizio che ha fondato l’antropologia forense. Utile se si studia penale. O antropologia. O se ci si vuole improvvisare i Sottile di turno. Con tanto di criminologo da barbetta incolta e foto di gente squartata che scorre in video mentre si è li ad ingurgitare l’ennesima porzione di cibo che un giorno ci farà saltare per aria le coronorie. 
BOOM. 




Il futuro dei laureandi leccesi
Ma ritorniamo a noi. 
Lo sapete che giurisprudenza è una delle facoltà più antiche della storia dell’umanità? 
No, volevo dire che è l'Italia sforna millemila laureati – come donne cinesi in paesi occidentali. 


No, volevo dire che a Lecce è forse la più frequentata nel mondo.
Nemmeno Harvard riuscirebbe a raggiungere il nostro numero di iscritti. Iscritti eh. Non fate i furbi. 
Perché tutti son bravi ad iscriversi a giurisprudenza a Lecce. Ma in pochi riescono a sostenere l’esame di Economia Politica il primo anno. 
“Cos’è? 
Economia politca. 
Puff. Lo faccio prima di laureami”. 
Eh. E poi ti ritrovi a disegnare grafici, seni e coseni mentre cerchi di capire a cosa serva la laurea se un kebbabbaro fa più soldi di te.

Già. 


“Eh no, perché il prof “è prp 1 stnz!1!! Nn si poss imparare 140 art. della Costituzione. Poi mica uno li usa ttt i giorni!1!!”
 
Ma fa niente, basta cambiare corso e andare da professori più “fattibili”. Uno prende il suo bel 30 dopo aver studiato guardando una puntata di Porta a Porta e te lo rinfaccia davanti al tuo misero 25.


"Ke bravo mio figlio ha passato filosofia della costituzione!!!"

Perché in fondo siamo dei duri. Se possiamo evitare qualcosa di più difficile, lo facciamo. 
Che sia un professore o un esame. Che sia scambiare un “che” con un “ke”. Che sia la soppressione delle vocali. Che sia leggere un libro o informarsi su qualcosa che non faccia parte del monopolio televisivo della De Filippi. Che sia la lettura di una sentenza e non solo l’apprendimento per osmosi da un’editoriale di Travaglio. Che sia qualcosa oltre l’indossare una maglietta con il faccione di Che Guevara acquistata per 15 euro in una bancarella che vende busti di Mussolini. E definirsi poi comunisti.
 Ed è da tutto ciò che sorge con tristezza e rammarico la parola d’ordine: comodità.



E in fin dei conti tutti possono far contenti i propri genitori iscrivendosi a Giurisprudenza. Nessun buon genitore inserito in un tessuto sociale rispettabile potrebbe – di questi tempi – mandare a lavorare il proprio figlio. Perchè suscita sempre un certo sdegno pungente ma quasi impercettibile la risposta “lavoro” alla domanda “cosa studi?”. 




Come una donna afflitta da meteorismo. 

frantumi®

mercoledì 7 maggio 2014

Guida galattica per cassieri rampanti ecc.. [Il cliente nostalgico del ventennio]

Saaalve a tutti!

Come scritto nella PREMESSA, servendomi di una narrazione sopra le righe, descrivo il mondo che si cela dietro il lavoro di un cassiere in un bar. 
Nel primo capitolo elenco i personaggi più divertenti che ho incontrato e le mie reazioni ad ogni loro richiesta. 
Nel secondo all'oggettivistica e cioè a quell'insieme di suppellettili (vedi: bustine di zucchero, acqua, giornale ecc..) messi a disposizione degli avventori ma che.. 

...vabè lo scoprirete leggendo il blog ogni settimana. 

QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALI È FRUTTO DI VERE ESPERIENZE DIRETTE CON UN PIZZICO DI IRONIA, VALIUM E NON SENSE. 

Buona lettura!


[Perché una guida]

  • CAPITOLO I 

[Tipologie di Clienti - Volti] 



PARTE I   [I volti del mattino]

PARTE II  [Lo Scroccone - Quella signora altolocata]
PARTE III [Il Sordomuto - Il Pignolo]
PARTE IV [L'ansioso - Quello che salta la fila]
PARTE V  [Il cliente e il bagno - Il critico]


PARTE VI - Il cliente nostalgico del ventennio. 

La folla si raduna ad una fermata della metro, giunge il treno e in una manciata di secondi scompare.
Luce, vento e qualche foglio di giornale svolazza. 
Il tempo di ragionare che subito dopo ne giunge un'altra, di folla, e sempre in pochi istanti svanisce, come inghiottita.
Ecco, ho sempre pensato al bar come ad una fermata della metro.
La gente va e viene, folle di persone si radunano intorno al bancone e qualche secondo dopo non ci sono più.
È il respiro del commercio, la contrazione del locale.
È musica, è matematica: è ritmo.
Folla, pausa, folla.

In genere chi lavora in un bar preferisce avere molte persone, senza fermarsi.
Fermarsi, fare una pausa non è sempre sinonimo di riposo; molte volte si perde la concentrazione e si rischia di non riprendere bene il lavoro.
Però quando quei pochi minuti di riposo giungono, il commesso, il bartender e il cassiere ne approfittano per respirare.
Forse.
Perché molto spesso in quei pochi minuti si alternano i personaggi più strambi, quelli che ti fanno perdere tempo e che alla fine ti lasciano con una fila interminabile di gente dietro.
C'è chi ti chiede prodotti difficilmente reperibili.
E tu, anche se sei ben consapevole di non trovarli, armato di buone intenzioni, li cerchi lo stesso.
E così ti affanni per scendere per le scale a quattro gradini la volta, giri e rigiri e alla fine riesci nell'impresa di trovarli.
Il santo Graal esiste, esclami, dirigendolo verso il soffitto.
Ma.
"No, era solo per chiedere", si congeda il cliente.
E tu, oltre l'espressione basita, il sudore e i graffi per aver combattuto Shelob, i nani e i templari, perché era giù, in quel lato del deposito più tetro, più dannato, hai solo da dire:
"Ah.."
Accade anche questo, non vi stupite.

In questo post parleremo, però, di un tizio, dagli occhi catarattosi, la voce impastata da anni di sigarette e una certa nostalgia per un ventennio buio della storia italiana.
No, non ancora Berlusconi.
Prima ancora.
Sì, esattamente.
Signori e signori, rivivete un pezzo di storia raccontato direttamente da lui:

Il cliente nostalgico del ventennio. 




Era trascorso qualche minuto da un gruppo di turisti milanesi che avevano riempito il bar.
Io ero intento a sistemare e pulire il macello dietro la cassa.
Avvertì un brivido, un disturbo nella forza.
Mi fermai, alzai gli occhi al soffitto.
Annusai l'aria come i roditori che fiutano il pericolo e cercai di capire meglio cosa stava succedendo.
"Sta succedendo qualcosa.." pensai.
Ed in effetti le ombre delle nuvole che coprirono in quel momento il sole quasi seguirono l'arrivo di un vecchietto in bicicletta.
Io vidi la sagoma dall'orizzonte diventare sempre più grande e infine giungere vicino la vetrina del bar.
Cercai di rincuorarmi.
"Tsk, vorrà il solito caffè e lo pagherà con cinquanta euro, dover cambiare la banconota sarà l'unica noia."
"No, Frantumi, no. Qui c'è qualcosa di brutto. Di pericoloso. Di nero".
Già, il nero.
Mi sbrigai a sistemare per essere pronto ad accogliere il tizio, che intatto aveva poggiato la bicicletta nera, sporca, enorme, all'esterno del bar.
Aprì la porta ed entrò.
Il cielo coperto, un leggero brivido freddo. 
Presi posizione e:
"Buongiorno, prego", dissi.
Sbuffò.
"Mezzo chilo di caffè"
"Perfetto", iniziai.
Ma feci un errore madornale, gli chiesi "Quale tipo vuole?"
L'orrore, l'orrore.
In men che non si dica esclamò a gran voce.
"QUANDO C'ERA LUI NON C'ERA BISOGNO DI CHIEDERE!"
Quei pochi clienti in quel momento si voltarono.
"Ma chi?" cercai di capire.
"Benito, il duce, il nostro unico comandate!"
Dentro di me una vocina disse "ecco, lo hai fatto di nuovo Frantumi. Sai benissimo che i vecchi prendono sempre il caffè più economico, allora perché devi chiedere? Ora è tutto tuo, io me la squaglio".
Arricciai il naso e feci finta di niente.
"Le macino l'Avio?"
"Io ho servito vent'anni il nostro comandante quando ero nell'esercito in Sicilia. Nessuno osava disubidre. Adesso, invece, voi giovani fate schifo."
"Ok, cerchieremo di drograrci di meno, quale caffè devo fare?" implorai.
"Caffè? Qui si parla di cose serie. Serissime. Voi dovete stare ai nostri comandi!"
Era ormai partito a ruota.
Non si fermava più.
Il nero dell'abito che indossava non lo snelliva, anzi: lo faceva sembrare ancora più corpulento e pesante.
In tutti i sensi.
Ho capito, faccio di testa mia. E scelsi la miscela, la macinai e la impacchettai.
Nel frattempo, complice le parole che vomitava a gran voce, si era radunata una folla di gente.
Potevo sentire il loro ridacchiare.
Io cercavo di essere il più veloce possibile perché ormai la situazione era nera.
Nerissima.
Il tizio era passato in rassegna di tutti i gradi di giudizio che dovevano subire i politici.
"Merde sono. M E R D E."
La scansione delle sillabe fu così forte che partì una goccia di saliva. Essa colpì il mio maglioncino.
E restò lì, rotonda e schifosa.
Mi ha infettato, forse, è così che si riproducono i nostalgici del ventennio a Lecce.
Frantumi non tergiversare: ponili il tutto e mandalo via.
"Ecco a lei"
".. Fini è una M E R.. ah, pronto tutto? Bravo ragazzo."
"Grazie, sono 9 euro e 50".
Qui avvenne una cosa divertente.
Prese la busta con il caffè e poi infilò la mano destra, nella tasca destra - tutto a destra - per prendere i soldi.
Mi porse la mano chiusa in un pugno per contenere gli spicci e poi l'aprì per mostrarmeli.
Allungai il collo per guardare meglio ma c'era qualcosa come 17 centesimi in piccole monetine da uno e da due centesimi.
Mi bloccai.
Lo guardai e lui ricambiò lo sguardo.
"Nah." mi incitò a prendere i soldi.
Dissi "ehm, comandante della legione qui mancano la bellezza di.. mmh.. 9,33 centesimi".
"Eh, prendi i soldi."
"Sì, ma ripeto: mancano circa nove euro".
"Eh, prendili no?"
Lo squadrai. Ormai lo avevo guardato così tante volte che conoscevo il numero esatto dei suoi capelli.
"Ripeto: non bastano".
"Eccoli, santa madonna".
Ok, forse non sente, cercai di convincermi.
"MANCANO SOLDI. NOVE EURO CIRCA", gridai spazientito, non curandomi della folla di gente che sembrava quella fuori l'apple store per ogni day one del nuovo modello di iPhone.
"COME MANCANO SOLDI. A ME NESSUNO MI HA MAI DETTO CHE NON PAGO".
Piansi dentro.
"HO CAPITO CHE LEI È UNO ONESTO VECCHIA GUARDIA, MA NON BASTANO QUESTI!"
Castimò un bel po', e vi assicuro che il non sense era ormai arrivato alle stelle.
Non capivo se si trattasse di una punizione divina.
Il mio io interiore era in angolo, tremante, e ripeteva a se stesso "voglio la dopamina".
Vi dico solo che questa conversazione non cambiò molto per i restanti minuti, con le stesse battute.
Improvvisamente: la luce.
"Frantumi, vengo io." irruppe una voce.
"Ti prego: fa che gli americani ci abbiano invaso" pregai.
Era una collega che si presentò come Milord per Sailor Moon.
A quanto pare lei lo conosceva bene questo tizio e venne in soccorso.
"Beh", disse "allora comandante prenda questi benedetti soldi, su".
"Siiii.. aiutami! Ti prego. Prometto di insultare i comunisti! Qualsiasi cosa, basta che me ne liberi!", gridai.
Lui, intimorito, richiuse la mano e prese il portafoglio dal quale cacciò fuori dieci euro.
Pagò e se ne andò.
Io guardai la scena a rallentatore, gesticolando come Aldo Baglio in tre uomini e una gamba "ma.. ma.. ma ma che ho detto io? perchè a me no? ma come hai fatto??".
Dopo aver sentito la spiegazione imparai una lezione: non importa se sei di destra e di sinistra quando sei vecchio ogni scusa è buona per rompere gli zebedei ma contro una donna siamo pronti a ritrattare qualsiasi colore politico.

marcodemitri®

Alla prossima!