martedì 2 luglio 2013

World War Z [Recensione prima di aver letto il libro]

Attenzione: questa recensione è stata scritta prima di leggere l'omonimo libro da cui è tratto il film. Verrà poi postata una seconda subito dopo la lettura.
Stay Tuned, quindi. 



1) ZOMBIE MOVIE;
 
Partiamo da un presupposto chiaro e onesto: reputo gli zombie le creature cinematografiche più brutte mai create. Riconosco la loro importanza nella storia del cinema horror e la loro attinenza alla realtà oggi più che mai, ma non li reputo affascinanti. Per niente. E le uniche due pellicole sull'argomento che ho apprezzato sono state La Notte dei Morti Viventi di George A. Romero e Zombi II di Lucio Fulci. Per il resto è quasi sempre materiale già visto che inciampa in una serializzazione giusta per il marketing ma disonesta per il pubblico; perchè il filone degli zombie rappresenta ormai una miniera d'oro e una uscita di sicurezza per un cinema sempre più specializzato in ricerche di mercato. 

2) DISASTER MOVIE;

Pellicole dalla qualità altalenate che anticipano un futuro catastrofico. Uno dei più grandi apripista del genere è stato Hitchcock con Gli Uccelli mentre oggi il maggiore esponente del genere è Emmerich; un abituè della distruzione di New York - peggio persino di Bin Laden - e dio ce ne scampi. 

3) IDEA ORIGINALE;

L'idea alla base di WWZ è trata da un romanzo brillante scritto dal figlio di Mel Brooks. L'originalità della narrativa è la tecnica usata e cioè quella dell'intervista. La storia prende vita grazie ad un collage di pareri e discussioni di personaggi che hanno vissuto in prima persona la guerra totale contro gli zombie. 
Libro non solo innovativo ma interessante, anche. 

4) Brad Pitt attore - serio; 

Che non è bravo quanto quello cazzone ma ci piace lo stesso. 

= WORLD WAR Z = SOLDI.

Proponendo una nuova chiave di lettura di un genere saturo e noleggiando da un romanzo l'idea dell'elemento orrorifico, i presupposti per un buon blockbuster sono stati rispettati. 
Ma ne è valsa la pena? Sì, se non ci fossero stati altri due elementi nel conteggio. 

4) Damon Lindelof;

La sceneggiatura tratta dal romanzo è stata scritta a sei mani: Drew Goddard e Matthew Micahel Carnahan e il signore che da il titolo alla didascalia. Ora, che un film di questo tipo non debba avere una scrittura perfetta è normale e posso sorvolare su questo, ma non dev'essere necessariamente stupida. Nel senso che non dovrebbe rendere lo spettatore un inetto: e come?
Attraverso trovate che trasformano in uno scempio nel finale il buon sviluppo del film. 
Tipo: deus ex machina ridicole per la caratterizzazione che si è voluta dare alla pellicola. 

5) Brad Pitt personaggio;

Come attore funziona e fa un lavoro discreto nonostante i suoi capelli da nostalgico degli anni '90. 
Ma il personaggio che interpreta, non è colpa sua, è un McGyver dei noialtri trasformato ad hoc a risolutore finale. Lancia una bomba in un aereo, combatte orde di mostri, riesce a portare sfiga persino a Gerusalemme, e beve una pepsi per bullarsi della sua illuminazione finale degna del miglior Dott. House. 
"Che uomo, Fabio" direbbe Bergomi. 

Ed infatti il prodotto è stato calibrato molto bene all'inizio attraverso una repentina immersione dello spettatore nell'orrore; il problema è che una volta entrato, poi, è stato un susseguirsi di viaggi da nazione in nazione veloci e sommari. Il tutto funzionale ad una finta etica del film di dimostrare come non siano solo gli USA i principali attori del bene e del male nel mondo. Ma anche in questo caso, la pellicola soffre di quei caratteristici luoghi comuni occidentali: la pandemia proviene dall'oriente, ad esempio. 
A legare il tutto la regia di Marc Forster riabilitato dopo la faida lanciata sulla sua testa dai fan di James Bond dopo l'orrendo Quantum of Solace; una direzione ipercinetica e a volte confusa, come è giusto che sia. Gli effetti speciali soffrono di un disorientamento della telecamera; ben riusciti invece i make up forse un po' meno le comparse, che sembrano malati di Parkinson. 

Come ho già accennato il film inizia bene, si svolge discretamente per poi fallire nel finale. 
O meglio perdere quella bella carica emotiva regalataci nella prima parte. 
Perchè una pellicola che scuote lo spettatore con una lavorazione visiva carica di tensione, ansia e angoscia non può lasciarsi sfuggire in una rivelazione finale ridicola e che trasforma il tutto in un action movie di poca intelligenza. 

Peccato perchè alla CocaCola ho sempre preferito la Pepsi. 

marcodemitri®

2 commenti:

  1. Insomma fammi sapere com'è il libro. Ho letto che è tutta un'altra storia!
    Anche io sono un fan della Pepsi, comunque!

    RispondiElimina
  2. Anche io, come te, ho visto il film prima di leggere il libro. Non so se tu lo hai letto mentre scrivo, ma ti assicuro che, una volta fatto, quei pochi punti che si riescono a dare a questa pellicola ti vien voglia di levarglieli. Si perché, come hai ben detto, la parte migliore del film (o forse sarebbe meglio dire l'unica decente) è quella iniziale, dove viene messo in scena lo scoppio dell'epidemia in maniera molto cruenta, anche se terribilmente fittizia data la totale assenza di sangue imposta per ottenere l'odiatissimo PG13. Peccato, però, che quelli presenti nel libro siano i soliti (da me amatissimi) zombie cannibali, lenti, inesorabili ed irriducibili se non spappolandogli il cervello, mentre quelle cavallette impazzite sullo schermo sembrano tutti dei Peter Parker morsi da un ragno più sfigato. Le divergenze tra le due opere iniziano fin da subito, e sono profonde, tanto che personalmente trovo ingiusto descrivere questa pellicola come una trasposizione del formidabile libro di Max Brooks. A voler essere buoni, e pure tanto, lo si può etichettare al massimo come una rielaborazione che è il riassunto del riassunto del riassunto. Basta una mano per contare i punti in comune: il lavoro presso l'Onu del protagonista (che nel libro non fa assolutamente nulla di tutto il carosello orchestrato da Pitt), l'origine asiatica dell'epidemia (ben circostanziata da Brooks, come tutto quello che accade nel libro), e il muro eretto in Israele (dove nel libro, per fortuna, la gente pensa prima di aprire bocca). E basta. Tolti questi dettagli, la sceneggiatura del film è semplicemente un'altra storia, che se almeno fosse stata buona (Kubrick docet con Shining)almeno si farebbe guardare con piacere, ed invece fa anche abbastanza pena. Un vero peccato, perché il libro è formidabile sotto tutti i punti di vista, è un affresco gigantesco e potente, ricostruito dal geniale utilizzo di svariate interviste fatte a pesone di ogni tipo, ma forse i pregi più grand del libro sono la credibilità e la coerenza, ogni volta che leggi qualcosa pensi dopo pensi "cavolo è vero! Andrebbe proprio così, non c'è dubbio!" Tutto questo nel film non c'è, perciò mettiamolo pure insieme a quei film tributo che è meglio dimenticare, ché tanto sarà in buona compagnia.

    RispondiElimina