domenica 30 giugno 2013

L'inumano - Massimiliano Parente [Recensione]



Mi sono rotto il cazzo della narrativa italiana, colma dei vari Paolo Giordano, Fabio Volo e Antonio Scurati in espressione sghignazzante mentre ti infilano un dildo su per il culo ad ogni copia venduta. 
Finalmente, e ad essere sincero per caso, ho scoperto un autore cattivo, culturalmente stimolante e che non se ne frega nulla di mandare a fanculo il lettore, che se lo merita in molti casi. 
Con Massimiliano Parente è stato subito amore. 
Anzi: roughsex.

Ho divorato l'Inumano in due giorni leggendo dove mi capitasse e ora che l'ho terminato, credetemi, sto recuperando tutto quello che ha scritto. 
Perchè un autore come lui non lo si può lasciar sfuggire, no, non si può. 

Dissacrante, crudele, spietato, manda a quel paese decenni di letteratura italiana del Risorgimento additando l'aggettivo di "brutta" al libro Cuore di De Amicis, e percorre il cammino nelle 276 pagine del romanzo vomitando i suoi pensieri in una cornice iper realistica.
Una visione la sua che non è altro che la nostra senza alcun velo di Maya davanti agli occhi, distrugge, scompone, defeca.
Una distorsione della realtà dove Hitler avrebbe potuto compiere un capolavoro d'arte estendendo il suo raggio d'azione all'umanità intera. 

L'Inumano è il collage dei nostri pensieri che non abbiamo mai avuto il coraggio di dire e che diventa una raccolta di sensi di colpo. A metà strada tra Bret Easton Ellis senza la realtà metropolitana e con la freddezza esplosiva di Palahniuk, il libro è il completamento della trasformazione in artificialità della natura tanto odiata ma che, per il maledetto politicamente corretto, non abbiamo il coraggio di ripudiare. 


Liberatevi dei falsi preconcetti del becero ben pensare italiano e quindi leggete l'Inumano. 

marcodemitri®

sabato 29 giugno 2013

Man of Steel [Recensione]


Secondo me c'è una schiera di sceneggiatori che si diverte a prenderci per il culo. E poi sono lì, sui social network, armati anche di google traduttore, per leggere e ridere a crepapelle quando i fan e i detrattori si prendono a legnate per stabilire chi abbia ragione.
È palese, dai.

Perchè un film come Man of Steel non può, non deve, passare per un bel film.




Sono stati scritti fiumi di parole su come e cosa debba essere una pellicola su un super eroe; alcuni hanno addirittura ipotizzato che i pagliacci mascherati non possono essere trasposti ma restare solo su carta.
Perchè funzionano solo li ed a dire il vero non hanno tutti i torti.
Ma come sempre: dipende dai casi.
Nel mondo dei super eroi su celluloide, semplificando, si può ridurre il campo a due filosofie: chi sceglie di prendersi sul serio e chi no.
Del primo filone fa parte, come tutti ormai hanno assodato, la trilogia di Batman e del secondo, invece, Iron Man.
Poi ci sono le porcate idiote come Lanterna Verde, Catwoman, Elektra che hanno avuto uno sviluppo talmente ridicolo da farmi gridare allo stupro.
Ma questo è un altro discorso.
Come scrivevo poc'anzi, dunque, il problema di chi si prende sul serio è semplice e immediato: al primo errore si è fuori.
Beh, è chiaro: anche noi quando siamo di fronte ad una persona che pecca di autoironia la prima idiozia è subito evidente.
Ed infatti, senza dilungarmi troppo, il Batman di Nolan ha sofferto delle pecche nella sceneggiatura che lo hanno reso in alcuni casi ridicolo e in altri pretenzioso.
Guardate poi The Avengers, colmo anch'esso di incoerenze, ma molto meno evidenti perchè divertente.

Viviamo in tempi poi in cui il cinismo graffia la nostra esistenza e non ci permette di sognare; anzi un certo tipo di fantasia appare anche stucchevole.
Ed ecco, come è giusto che sia, che il cinema ne risenta.
I supereroi diventano qualcos'altro, l'idealismo che trabocca dalle loro storie si opacizza e il realismo prende il suo posto.

E quindi diventa ancora più difficile riuscire a rendere l'idea di un personaggio onnipotente che diventa fragile per nascondersi tra gli uomini. E difenderli.
Inviso a molta gente per la sua apparente invincibilità, inutile per altri, l'uomo d'acciaio soffre infatti di un pregiudizio. Peccato perchè non è così.
E per una breve summa della sua filosofia rimando alla visione del discorso di Bill in Kill Bill vol. 2.
Che anche se rende solo una parte della idea del fumetto, la centra in pieno.
Mentre per chi avesse più tempo rimando alla visione dei primi due capitoli della saga Superman di Donner.

La saga di Donner, appunto.
Se c'è, infatti, una delle più belle opere tratte dal fumetto è proprio quella.
Un'opera straordinaria che è riuscita a cogliere gli aspetti più belli e rendergli maestosi. Con Donner, Puzo e Reeve.
Un lavoro straordinario studiato a puntino partendo dalla tagline "crederete che un uomo possa volare".
Il realismo rivisto in chiave fantastica.
Un controsenso? Non necessariamente.

Man of Steel, invece, è un prodotto partorito da un regista capace e uno sceneggiatore incompetente.
Scritto male, colmo di incoerenze e mediocre.
Ha un concept design orrendo: gli animali su Kripton, le armature stile power rangers dei kriptoniani, le capsule falliche nelle quali sono imprigionati Zodd e i suoi soldati.
I flashback "che saranno anche belli ma ci hanno rotto un po' i coglioni".
Le scene patetiche: la morte ridicola di un personaggio.
Le illuminazioni che salvano il mondo; Independence Day è più credibile.

Zack Snyder abbandona il suo stile registico, i rallenty, per uno più sobrio ma che lascia il tempo che trova; perchè pur avendo girato bene in molti casi risulta essere confuso. E troppo.
Gli attori non funzionano quanto dovrebbero; salvo giusto Cavill che è un bel superman e anche Russel Crowe. Per il resto niente di buono.

Così il tentativo di rendere realistico, abbandonando la kriptonite ad esempio, risulta essere intriso di quello stupido cavallo di battaglia del nuovo modo di rendere appetibili i super eroi: quel maldestro compromesso con quel pubblico che giudica idiota e infantile il fumetto.
E allora lo si trasforma in attualità. E come? Trovando l'ispirazione nel manuale dei disturbi psichiatrici nei capitoli: paranoia e depressione. Perché solo così lo spettatore medio potrà trovarlo più vicino ai suoi tempi e più maturo e quindi più serio.
Ma si dimentica che operando in questo modo si scade nel patetico, trasformando la realtà in un surrogato della realtà stessa.

Che, in fin dei conti, fa più ridere a chi ci prende per il culo.

marcodemitri®

venerdì 28 giugno 2013

Se me lo fai pagare gratis, lo compro! [Lo Sconto nel commercio]


Esempio pratico:

- Me lo sconti?
- Ma costa 10 centesimi
- Embè, tu l'avrai pagato minimo 1 centesimo e ce ne guadagnerai ben 9 di centesimi! 






Fin dall’alba dei tempi chi si cimentava in un lavoro d’artigianato veniva spesso a scontrarsi con il: cliente. Che egli fosse giovane o anziano, bello o brutto, magro o grasso poco importava; perché l’unica questione da porre al vaglio dell’artigiano era: mi fai lo sconto?
Nonostante i suoi sforzi, degni di un mulo in cima al monte Everest, lo sconto rappresentava un macigno che schiacciava la sua schiena già colpita dagli acciacchi del mestiere.
Un pugno nello stomaco, per dirla breve.
La pazienza che usciva fuori come vapore acqueo dalla bocca in una notte fredda, era pari forse alla lenta agonia di Cristo sul monte Golgota: "guardi, non ci guadagno nulla". D’altra parte cosa si potrebbe aspettare da un povero sventurato che intaglia legno in una grotta rupestre?
Eppure il cliente, con dito parallelo al naso, di solito rappresentato magro con occhialino e stempiatura crescente, o donna sulla cinquantina in assetto da madre-che-porta-in-giro-il-figlio-appena-tornato-a-casa-per-le-vacanze, gli ricorda che viviamo in tempi di crisi e che dunque tutti dobbiamo adeguarci ai ridimensionamenti dello stipendio. Anche chi, come l’artigiano, produce beni superflui, cioè che non hanno valore vitale. 
Bisogna lasciar fare al cliente perché il prezzo che voi proporrete non sarà mai degno per il suo portafoglio. In fin dei conti, lo sconto è una domanda retorica. Ovvio che il commerciante non può tirarsi indietro a meno che non vuole incorrere nel famoso “amico che è venuto prima”. 

E dopo aver scontato, in pratica regalandoglielo, cosa succede?
Se pensi che sia finita qui, no, ti sbagli. 

Perché?

Beh, la voce si spargerà e dovrai accettare di scontare per sempre. Sempre. E sempre.
Tanto o sconto o crisi avresti comunque chiuso per fallimento. 

E poi chi cazzo compra un cavallino in legno se può averlo dal vu cumprà che almeno lo sconto te lo fa?

marcodemitri®

[Da oggi troverete ogni tanto, e cioè quando mi va, una piccola rubrica sui topos del commercio e sullo strano rapporto che la gente instaura con quello che compra; come quello tra una madre e la prole nata nell'utero di un'altra donna]




sabato 22 giugno 2013

Ma è Morto o no? [Gandolfini inside)

Dal momento che in pochi se lo sono cagato perché, giustamente, ha interpretato il ruolo in un TF che ha avuto poco pubblico mainstream, e quindi nessuno si è cagato appunto, ed è trascorso il giorno del mio compleanno, ora, ripropongo una sua foto da ciccione dagli occhi tristi qual era.
Un attore che ci ha regalato un ruolo straordinario e altri piccoli ma interessanti.

Addio Tony, insegna agli angeli a sbatterti un'amante russa e fare sogni da gay.
E soprattutto a LASCIARMI CON UN FINALE DEL GENERE.


MA È MORTO O NO?



sabato 15 giugno 2013

Star Trek Into Darkness [Recensione]



Sinceramente?
M'aspettavo un film brutto. 
#einvece si è rivelato un bel giocattolone senza trama ma ben fatto. 

Partiamo da un punto. 
I grandi franchising sono difficili, e molto, da continuare. 
I fan, quelli fondamentalisti tanto per capirci, chiedono il rispetto della storia originale che, per forza di cose, è sempre più complesso mantenere. 
E allora accade che si scelga di tagliare la testa al toro e ripartire da zero; perchè bene o male raccontare delle origini di un mito fa sempre bene nell'ampliamento di un nuovo pubblico di adepti. 
Ed quello che ha pensato e fatto il nuovo guru dell'entertainment sci - fi J.J.Abrams con Star Trek, appunto. 

Il primo capitolo ha resettato la storia.
E, a parte quell'insopportabile scelta dei viaggi nel tempo, funziona.
La pellicola ringiovanisce divertendo in un continuo rimando (i cosiddetti fan - service) alle puntate degli episodi classici del telefilm.
Nel sequel il duo Kirk (Chris Pine) e Spock (Zachary Quinto) sono divisi a causa dello scontro tra l'anarchismo del primo e "l'asperger" del secondo. Ma diversi attentati terroristici ad opera di un misterioso nemico, interpretato da un immenso Benedict Cumberbatch, spingono la flotta stellare a riunirli.

Come dicevo poc'anzi la pellicola è artisticamente splendida: girata al cardiopalma e rivestita di una fotografia al lens flare, arricchita anche delle bellissime musiche di Michael Giacchino.
Le scene sono un "orgasmo" visivo ed il cast è diretto molto bene. 
Se c'è un qualcosa di positivo nel cinema di Abrams è la bravura nel confezionare i suoi prodotti.
Dal punto di vista contenutistico, invece, non tanto. 
Damon Lindelof, Alex Kurtzman e Roberto Orci, scrivono una script singhiozzato, colmo di incoerenze. 
Ma, fortunatamente, passano in secondo piano se uno non ci pensa un po' su. 
Sì, lo spettacolo visivo domina. 

L'ho rivalutato Abrams.
Perchè con in mano una storia banale ne esce vincitore. 
Forse è l'unico che attualmente possa essere realmente all'altezza di un compito così arduo: riprendere in mano Star Wars. 



Che la forza sia con noi.
Si spera.

marcodemitri®


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Consiglio per i fan di Benedict Cumberbatch: http://www.vulture.com/2013/03/7-benedict-cumberbatch-star-trek-gifs.html

mercoledì 12 giugno 2013

si é spento il "t'aiuto io" e chi l'ha spento è il "non è il momento".

- Quando il commercio si ammazza da solo - 





Forse esagero.
Perchè in fin dei conti sono consapevole degli enormi problemi che, attualmente, tediano i commercianti.
E con questo non voglio pormi, dunque, in quella posizione di arrogante e, se mi permettete, diffusa superiorità del cliente medio.
Ma, a volte, essere protagonisti di una scena del genere è insopportabile, anzi, a questo punto: illuminante.

Riavvolgiamo il nastro e portiamolo alle 12:22 di questa mattina.
E teniamo presente l'antefatto sopra scritto come il sunto "filosofico" e spicciolo di quello che penso.

Ora vi spiego cosa è successo.

Ho in mente di acquistare una videocamera.
I motivi* sono tanti: video porno amatoriali, Paperissima, fare il blogger di successo come Williwuuuush o semplicemente perché ho soldi da spendere.
Però, per mero autocompiacimento mettiamo che sì, voglio fare il blogger di successo.
Anche perchè è il business più diffuso e io l'università per principio non voglio terminarla.

Dovete sapere che le catene come Mediaworld, Euronics, Expert sono bellissime, coloratissime, profumatissime.
A me, però, non piacciono.
Sarò hipster, radical chic, vintage, ma preferisco di gran lunga i negozietti bui, polverosi, con gli oggetti posizionati in ogni angolo del locale.

E così scelgo un noto e storico negozio per sondare un po' il terreno.
All'entrata è esattamente come ho descritto prima e cioè fermo agli anni '70 quando la Olivetti dominava il mercato italiano, tanto per capirci.
È una sensazione bellissima per chi  ama questo mondo.
E poi se c'è una cosa che adoro è parlare, discutere, chiedere consiglio a gente che porta sul viso gli anni dell'esperienza.
Come quello che ho fatto ingenuamente, ahimè.

Riassumo brevemente la conversazione.

- Buongiorno, dimmi.
- Buongiorno, qualche consiglio su una videocamera? Lei cosa mi proporrebbe? Cosa mi consiglierebbe?

*mi guarda, sospira*

- Guarda, propriu moi nienzi ca nu tegnu capu. Addhu fare nu saccu de cose e nu te ndecurare.
(Adesso niente perchè non ho testa. Devo fare tante cose, non ti dispiacere)

- ...

Sono sincero: non mi sono sorpreso più di tanto.
Mi avrà sicuramente preso per il normale avventore che "fa perdere del tempo" e non compra nulla.
Ma non è una scena così sporadica cui assistere perché, da me, i commercianti si stanno lentamente chiudendo in un mondo concentrato esclusivamente sulla loro personale clientela.
Come dire: ho 10 clienti?
Mi bastano. Non spreco energie per altri che sicuramente non saranno così duraturi da arrivare ad 11.
E allora che faccio?
Li tratto superficialmente.
Ma cosa succede poi?
Che io divento un "biglietto da visita" negativo e non parlerò certamente bene di te, commerciante, che non hai avuto l'accortezza di prenderti cura del mio interesse.
Questo è solo un primo tassello della decadenza.
C'è un altro aspetto della vicenda; forse il più amaro e significativo.

Io, giovane, vengo da te, uomo esperto, per chiederti un CONSIGLIO.
Non avrò talento, non avrò successo, non sono e non sarò mai nessuno ma ho avuto almeno l'accortezza e l'interesse a scegliere il tuo punto vendita per un semplice consiglio.
E tu che fai?
Mi tratti così?

Ok, avrai le tue motivazioni ma lasciami dire che questa scena potrebbe essere benissimo una metafora del sistema Paese in cui viviamo.

Non si premia mai chi ha interesse.
Sempre e solo chi ha denaro.

Forse esagero.
O forse no.
Ma il "mcdonald's" dell'elettronica, ormai, mi attende. 

marcodemitri®

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*sono altri i motivi, ovviamente


giovedì 6 giugno 2013

Incontri particolari.

Nella soleggiata città del caffè in ghiaccio, tra le ombre delle chiese Barocche e i discorZi dagli accenTIH particolari, la mia vita scorre in un bar.
Come per qualsiasi lavoro a contatto con la gente che si rispetti ho sviluppato anche io quella viscerale voglia in alcuni momenti di impugnare un fucile e fare una strage.

- Ehi, Frantumi stai calmo. Secondo me bevi troppi caffè. 

Lavorare nel commercio significa essere disposto ad accettare qualsiasi critica, anche la più insensata, perchè da venditore non puoi permetterti il lusso di maltrattare un cliente; voglio dire loro ti portano i soldi ed è giusto che tu sottostia ai loro capricci. 
Di solito puoi ironizzare, sorridere, smorzare la tensione ma quando la situazione diventa insostenibile allora, esplodi. 

E così ieri mi è capitato questo episodio.

Scena #939943450
Luogo: bar. 
Data: 05 - 06 - 2013.

Una signora chiede un bicchiere d'acqua, si siede al tavolino e fa bere il cane.
Dal bicchiere di vetro. 
Non contenta perchè il quadrupede, a quanto pare, non riusciva ad improvvisarsi umano, con garbo e approfittando dell'affollamento nel bar, versa l'acqua per terra
Cioè capovolge il bicchiere e fa una bella pozzanghera. 
Io, che ero dietro di lei, mi godo la scena, incuriosito.
Dovete sapere che questi episodi sono da studiare. 

- Dott. Freud che cosa ne pensa?
- Cuardi, la freulin è affetta da cuello che io chiamo la sindrome del bagnato. 
- Cioè si eccita?
- Nein. Non fa un kaiser a caza perchè ha servitù.
- Giusto, giusto. 

Appena finito di gustare il suo caffè al tavolino, si è alzata per andare via. 
Io che le ingiustizie non le sopporto, scendo nel laboratorio per indossare il costumino da super eroe - che salendo per le scale mi si è incastrato sotto il piede e sono ruzzolato giù - ma appena sono su, col petto gonfio, le braccia conserte, il mento all'insù e pieno di ematomi, urlo:

SIGNORA, ADESSO PULISCE LEI, VERO?

Lei si gira verso di me e mi risponde:

- Tsk, guardi che l'acqua l'ho pagata eh. 

- Ma se c'ero io alla cassa e lei non mi ha pagato.

- Ah, quindi lei è il cassiere? Quindi adesso conosco la sua identità.

Avete presente le risate registrate?
Ecco. 

Lo ammetto: mi sono sgonfiato dopo aver ascoltato queste parole. 
Ho abbassato la testa. 
Sono sceso giù.
Ho tolto il costumino.
Ho preso il mocho vileda ed ho pulito. 

Niente, il male vince sempre. 
Soprattutto se pagante.  

Non sono un drogato.
Il fatto è che a volte fantasticare fa bene; ti protegge dalla cattiveria, dal cancro e dalle persone maleducate che non rispettano chi lavora. 
E ti evita persino di impugnare un fucile e fare una strage; come dicevo prima. 

marcodemitri®

lunedì 3 giugno 2013

Quello di Wall Street e il sesso ORALE con strascico.



Signori e signori è partito il nuovo allarme su facebook.
I puritani e le puritane esclamano vittoriose: AL ROGO, PERVERTITI!

Pare, infatti, che un certo Michael Douglas abbia incolpato il suo vizietto del leccare fighe per il cancro alla gola che ha sviluppato.
E così in molti, dopo aver letto la rivelazione e soprassedendo la dicitura PAPILLOMA VIRUS come IL principale responsabile, cioè quello che FA venire il tumore per davvero e che potreste contrarre con del sesso non protetto, hanno inserito fellatio e cunnilingus tra i nuovi nemici dell'estate, insieme alle zanzare e alle bibite gasate.

Ma io dico: perché mai nessuno incolpa le minchiate che in vita ha sparato per spaventare qualche pirla e costringerlo a chiudere la bocca per sempre?


marcodemitri®

Una notte da Leoni 3 [Una "quasi" Recensione]


Un riassunto del film:




Contenuti speciali: 


Guardate Community, meglio. 
Li si che troverete il miglior Señor Ch(o)ang(w) di sempre. 

marcodemitri®


sabato 1 giugno 2013

La Grande Bellezza [Recensione]




Sorrentino, il nostro unico regista vanto a Cannes e insieme a Garrone tra i pochi nel Bel Paese a poter essere definiti tali, richiama la Dolce Vita, incastonandola in una Roma surreale e schiava della effimera mentalità borghese.

Toni Servillo è Jep Gambardella, un giornalista navigato e con un'unica grande opera letteraria alle spalle: L'Apparato Umano. Affascinante e dalla fine intelligenza, trascorre la sua vita tra feste mondane; la pigrizia però lo esclude da un possibile ritorno alla scrittura. Ma al compimento del sessantacinquesimo anno di età la sua insoddisfazione lo spinge a rivivere i luoghi ispirazione che lo hanno reso tale.
E tra silenzi e personaggi macchiette, cercherà di riviver quel vecchio mondo ormai perduto; quella grande bellezza che non esiste più.

In una Roma illuminata dalle luci della frivolezza, Servillo consacra indiscutibilmente il suo straordinario talento artistico; il protagonista dalle origini napoletane e dai costumi accattivanti attraversa la città in solitaria, in una continua ed instancabile camminata che fa molto Mastroianni, incontrando personaggi e riscoprendo luoghi che lo hanno reso il re dei mondani.
Sorrentino dirige la pellicola con grande studio dei particolari, concedendosi, talvolta, delle licenze poetiche: la città eterna svela le sue amenità tra sublimi riprese cariche di suggestioni. 
Il paragone con la Dolce Vita di Fellini sorge spontaneo, veloce, obbligato; ma mentre nel primo la bellezza risiede nella sfacciatezza dei costumi che nell'Italia di quegli anni esplodono, qui, invece, sono chiusi in un mondo in decadenza.
 Filtra, così, la colpa della compagine borghese, una corazzata sospesa dal mondo; essa risiede in una sorta di iperuranio, elegantemente ricostruito su un terrazzo con magnifica vista Colosseo, e in attesa di essere riabilitata.

Così fuori dal comune, così superficiale. 

Umberto Contarello, lo sceneggiatore, scrive dialoghi feroci: sono protagonisti falsi, doppiogiochisti ma consci della loro frivolezza. 

Jep è colui che fa da ago della bilancia, che riporta alla realtà i suoi diversi alter ego.
Ma se aveste pensato per un momento che il noto regista napoletano dissolvesse l'argomentazione in un continuo battibeccare dei protagonisti, beh, sbagliate. 
La Grande Bellezza è un film semplice, troppo, per poter essere definito un capolavoro. 

Badate bene: non parlo di una semplicità nel senso più estetico quanto in uno contenutistico. 
Perché sullo sfondo percorso da Servillo si accendono pretestuosi scontri per evidenziare il carattere quasi parodistico che il regista dona alla sua città set. 
E così uno dei leit motiv principali, la pigrizia, diventa un pretesto per spingere lo spettatore a compatire quel mondo. 

Non solo. 

La vecchiaia, un’altra grande ricorrenza, che sfrutta la gioventù - struggente l'episodio della bambina pseudo artista "vieni che il tuo talento ci farà vivere" - è ripreso con occhio disincantato, è la realtà dei fatti.

Come detto prima, la pigrizia domina la scena ed infatti non mancano le continue scoccate al ceto borghese reo di aver dormito sugli allori mentre il paese cadeva a pezzi; cito anche qui un episodio significativo: un personaggio, che si scopre essere mafioso urla “siamo noi il motore di questo paese”. 

Come quella giustificazione di operosità maligna; un vero cancro urlato come fosse una liberazione.
I palazzi rococò più che barocchi sono vuoti, le stanze sono enormi e fredde; la ricchezza ha generato noia e quell'ostentazione forzata è il più importante strumento e l'unico a disposizione per prevalere sul popolo.
"Che lavoro fai?"
"Sono ricca"
"Bellissimo impiego."
Uno scambio di battute veloci che riassumono la pellicola. 
Con una Isabella Ferrari in gran forma, un Carlo Verdone ironicamente simile a Jack Nicholson e persino una ottima Sabrina Ferilli è un film complesso ma semplice.
Forse pretenzioso o forse no.
Sorrentino si libera, finalmente, di quell'estetica fine a se stessa de This Must Be The Place per incartare un'opera raffinata, bella e significativa. 
Non è preciso come ne Le Conseguenze dell'Amore, scanzonato come ne L'uomo in più, grande come ne Il Divo ma se c'è qualcosa di cui andar fieri è che il suo cinema raccoglie applausi e, nel dibattito locale genera critiche, anche.


È un film difficile da apprezzare nell’immediato.
Come il Fellini de La Dolce Vita. 

marcodemitri®