giovedì 29 novembre 2012

Cose che ti fanno ricredere sul Buon Giorno.


Oggi si preannuncia una bella giornata per una serie di motivi che non starò qui ad elencare.




Cioè:

         1. Ho fatto colazione con delle fette biscottate INTEGRE;
         2. Ho finito Angry Birds Star Wars; 
         3. C'è il sole;
         4. I bambini del piano di sotto NON CI SONO;

  5. È uscito il final trailer di DJANGO!



Ah, e anche per questo mash - up  MERAVIGLIOSO





mercoledì 28 novembre 2012

Prometheus [Recensione]






”Avevo bisogno di riavviare il franchising.”

Immagino una conversazione con il regista Ridley Scott su Prometheus, di fronte una birra, al buio, lui mezzo ubriaco e io cosciente. E non saprei, questa potrebbe essere la sua risposta più simpatica e per la quale potrei perdonarlo.

No, perché di un “prequel” come lo chiamano ad Hollywood non ce n’era realmente bisogno.
Alien era un film perfetto. Era, appunto. Perchè ora non avrà altro che questo film come metro di paragone.
Alien è stato LA fantascienza. Un film che miscelava egregiamente anche componenti horror e thriller, regalando una sensazione di puro terrore “spaziale”.
Per non parlare di una regia magistrale con tocchi di puro estro artistico.
E con Ripley, ovviamente.

Parliamoci chiaro, il film non può essere paragonato ad Alien per una serie di motivi.
Non solo per la mancanza di una storia credibile, ha dei buchi nella sceneggiatura abissali, qualcosa che nemmeno Jonhatan Nolan riuscirebbe a sostenere, ma manca di quel tocco, quel non-so-che capace di trasformare uno Xerox in un Macintosh.
Perché la sensazione di paura che attanagliava lo spettatore era palpabile, autentica. Qualcosa che solo un genio del fumetto, Moebius, riusciva a regalare nella sua collaborazione al concept act dell’Alien.
Qui invece è tutto programmato, e lo scenario, ricordiamo dieci milioni spesi solo per il reparto visivo, tolgono enormi quantità di energia alla storia. Una ricerca di perfezione stilistica fine a se stessa. Ed infatti, la pellicola può essere solo vista per la bellezza visiva. Anche se a questo punto è molto meglio farsi regalare uno di quei dvd con catalogo di video ad altissima definizione per far risaltare la bellezza del televisore.
Purtroppo accade questo, la potenza economica non sempre è indice di successo artistico. Lo abbiamo visto anche con Nolan. Un regista che con un budget risibile è riuscito a sfornare una vera perla come Memento ma con uno più è riuscito a metà.
E allora di chi potrebbe essere la colpa?
Beh, se c’è un uomo come Damian Lindelof a scrivere la sceneggiatura un pensierino ce lo farei.
E senza le musiche Jerry Goldsmith e solo con un sempre più bravo Fassbender e un ottima Theron non si riesce a salvare la spedizione, se circondati da attori monoespressivi e poco credibili nel loro ruolo di scienziati.

Prometheus, dunque, è l'ennesima dimostrazione che avere un budget stratosferico e un regista con i controcazzi dietro, non basta per creare qualcosa di epico.
Anzi, a volte si riduce al solito spettacolo visivo e superficiale, un dare sfoggio della propria onnipotenza economica, e regalare un mediocre e scontato film di due ore. Un qualcosa che non solo sa di già visto, ma che è inutile perchè non aggiunge quasi nulla alla trama.

Insomma prequel, reboot, remake e sequel, è il caso di dire che "escono da tutte le fottute parenti".




Argo [Recensione]





Ricordate il momento toccante quando Ulisse, tornato ad Itaca sotto false vesti, viene riconosciuto solo dal suo fedele cane, Argo?
Si?
Non c’entra nulla.
Lo so, è stata la prima immagine che molti di voi, me compreso, hanno avuto appena letto il titolo. 
“Ormai non sanno più cosa inventarsi” il mio commento. 
Eppure ho dovuto ricredermi.
Perché Argo non solo non c’entra nulla per davvero con l’Odissea, ma è “anche la miglior peggiore idea mai avuta per un film”. 


Iran, 1979.
La popolazione iraniana, inferocita dalla politica indisponente degli Stati Uniti, si dirige verso una sua ambasciata; con lo scopo di assaltarla e prendere in ostaggio i suoi dirigenti. 
Nello scontro, solo in sei riescono a salvarsi e trovare momentaneamente rifugio, grazie all’ambasciatore canadese, Ken Taylor
La tensione è alta e la CIA cerca un modo per liberarli. 
Così manda in campo un uomo, Tony Mendez, specializzato in operazioni di recupero. 
Con un brillante escamotage, confondere i sei uomini con membri di una troupe cinematografica, crea un folle diversivo e riscrive la storia di una degli enti governativi più ambigui di sempre. 

Ben Affleck, alla terza prova da regista, porta in scena con un’asciuttezza degna di un settantenne, una pellicola dai forti toni politici.
Mentre Tarantino uccide i sogni di gloria di Hitler in un cinema, Affleck rimescola la realtà con la fantasia e acceca lo spettatore con il messaggio subliminale: l’assurdità del cinema è ancora necessaria.
Una regia splendida al servizio di una sceneggiatura ben calibrata e tagliente, dove la stravaganza di Hollywood si confonde con la formalità della CIA; la finzione cinematografica diventa così il deus ex machina che salva la realtà. 
E con un delizioso lavoro sul filtro, il film invecchia di trent’anni e avvolge lo spettatore, senza troppi fronzoli.
Il regista serra il ritmo nella seconda parte e nonostante si conosca l’esito dell’operazione, non risparmia colpi di scena con azioni al cardiopalma.
Complici anche le ottime prove da parte del cast, Bryan Cranston reduce dal successo della serie Breaking Bad, Kyle Chandler vincitore dell’Emmy per Friday Nights Lights, Alan Arkin simpatico vecchietto di Little MIss Sunshine e l’omnipresente John Goodman, confeziona poi un film di grande solidità caratteriale. 
E sarà il look da rockstar, ma anche Affleck sembra riuscire a recitare. 
Un grande passo in avanti per la sua carriera da attore. 
Forse mai iniziata. 

Lo sceneggiatore di Will Hunting, con le spalle coperte da un sorprendente noir, Gone Baby Gone e un movimentato thriller, The Town, non teme il confronto con il cinema d’autore.
E anche se mancano ancora all’appello Hitchcock, Il Grande Gatsby, Lincon e Les Misarebles, non sembra essere lontano dal secondo oscar.
Che a questo punto, spero arrivi per questa piccola perla.

Skyfall [Recensione]





Premetto che James Bond l'ho conosciuto da poco, due giorni per la precisione.
Giusto il tempo per vedere Casino Royal e Quantum of Solace.
Giusto il tempo per innamorarmene.
Sì, perchè sono generi di film che o ami o odi.
O che apprezzi o disdegni.
Certo, mi mancano venti film e uno smoking per essere un fan.
E posso solo giudicare questo nuovo capitolo, Skyfall, come film in sé, e non come un film della saga.
Complice il successo ottenuto dalla trilogia sull’uomo pipistrello, Mendes sceglie la via dell’oscurità per mettere in scena il suo capitolo.
Come sempre, inizio rocambolesco.
Bond deve recuperare un cd contenente i nomi di tutti gli agenti infiltrati nelle organizzazioni terroristiche mondiali.
Qualcosa va storto, e si ritrova con un proiettile in una spalla.
Colta l’occasione per uscire momentaneamente dai giochi, si prende del tempo per pensare. Ma quando un anarco – terrorista, che fa molto Joker, assale la sede dell’MI5, è costretto a ritornare.
E ricominciare da dove aveva lasciato.
Sam Mendes porta sul grande schermo un raffinato film d’azione, con tocchi glamour e grandi interpretazioni.
Sceneggiatura robusta dall’azione ben calibrata, che riesce persino a far passare inosservato il bellissimo Casino Royal.
Pregevoli i vari omaggi al cinema di 007; anche per chi, come me, non ha mai visto un film "storico" della serie.
Come Enzo Paolo Turchi insegna, da un grande capello ossigenato derivano tante battute infelici. Ed infatti, Bardem, dal capello biondo con una brutta ricrescita, inscena un villain da oscar.
Una interpretazione che risente molto della presenza di Ledger.
E di cui gli unici sui limiti sono il poco spazio dedicatogli, e la sua voglia di strafare. Che lo rendono a volte “fuori controllo”.
Applausi per le altre interpretazioni, ad iniziare dalla Dench, passando per Fienes e concludendo con il migliore Daniel Craig.
Non storcete il naso per Heineken e barba, Bond funziona maggiormente se moderno; e non ridotto ad un cumulo di cliché dalla penna esplosiva.
Skyfall è dunque una grande iperbole, che pone Bond davanti al passato e cerca di individuarne quali sono stati i suoi punti nevralgici, con lo scopo di eliminarli.
Ma la domanda è: può un personaggio come lui essere ancora attuale nell’era dei robot su Marte?
Al pubblico, o meglio al botteghino, la risposta.
Da segnalare le straordinarie scene d’azione e i deliziosi titoli di testa.
Cavolo, riescono persino a farmi piacere una canzone di Adele.



Amour [Recensione]

Scrivere recensioni è un mestiere difficile: richiede tempo e un ottima organizzazione mentale.
Quindi pensate quanto sia complesso per chi, come me, lo fa per hobby.
Ora, vi chiederete, era necessaria questa premessa? Sì, se riguarda un film come Amour




Vincitore della Palma D'oro 2012 a Cannes, Amour è la storia di George e Anne, due anziani coniugi, il cui rapporto sarà messo in crisi dalla malattia degenerativa di cui è affetta Anne. 
Dopo averle promesso di non lasciarla in ospedale, George costruisce un mondo lontano dalla frenesia del quotidiano, simboleggiato dalla figlia. Con un'angosciante sottofondo dettato da passi zoppi, parole biascicate e una dolcissima filastrocca cantata per ricordare i bei tempi, inizia a realizzare l'inevitabile destino cui andrà in contro la moglie. 

Ok, lo ammetto: mi sono commosso. 
Ma mi chiedo come si possa assistere imperterriti ad una pellicola del genere?
Nemmeno un servizio di Barbara d'Urso sull'attentato dinamitardo a Brindisi riesce ad incutere tanta tristezza. E non parlo del melodramma ricamato sopra, è chiaro che Amour ne uscirebbe sconfitto.

Il cinema di Haneke l'ho conosciuto pochi anni fa, con Funny Games per essere precisi; una pellicola folle, lucida e raccapricciante.
Conquistato sin da subito dalla sua poetica algida, che penetra e lascia il segno, decisi di recuperare la filmografia; restando sconvolto durante la visione de La Pianista e Caché.

Ma è con Il Nastro Bianco, autentico capolavoro in bianco e nero, che pensavo avesse dato tutto. 
Pensavo, appunto: ma fortunatamente, mi sbagliavo. 

Michael Haneke dirige un film toccante, dove chirurgicamente sceglie di descrivere l'amore più spaventoso ma al contempo più veritiero: quello dell'"amare in salute e in malattia".
Con due interpretazioni magnifiche il tutto risulta di un realismo sconcertante, che lascia lo spettatore inerme.
Coadiuvato poi da una fotografia semplice ed efficace e privato di colonna sonora, l'apparato tecnico è ridotto al minimo indispensabile; dando una sensazione di spettacolo teatrale. 

Il dramma che si consuma è lento ed inesorabile

Un iperbole dunque che crolla vertiginosamente fino il baratro del non ritorno, condannando i protagonisti ad un finale straziante.

Paradossalmente lacrime amare rigano il volto alla scoperta del significato più doloroso di: Amare


venerdì 23 novembre 2012

End of Watch. [Recensione]



Avete presente Cops?
No? Andate qui *.
Sì?
Ecco, End of Watch è un poliziesco girato in stile documentario su due agenti della LAPD che, a causa della loro ambizione e spinti da una instancabile ricerca di adrenalina, diventeranno i bersagli del Cartello messicano. 

Ma se fosse solo questo, sarebbe la classica pellicola per un ristretto gruppo di cultori del genere.  
No.
O meglio, cerca di non esserlo. 
Senza una vera e propria trama, nell'autentico senso del termine, End of Watch permette allo spettatore di percepire il delicato confine tra l'essere un poliziotto e un civile; il tutto corroborato dall'espediente delle riprese semi amatoriali. 
Vero nodo del film è dunque l'alienazione dell'uomo con il distintivo che sfiora l'ossessione. 

Se fosse GTA: San Andreas, è come se si avesse scelto di completare il gioco con le missioni secondarie, dando maggiore spazio alla costruzione del personaggio e meno alla trama principale.
Ed è questo il punto. 
Perchè da una parte il film riesce. 
Sfugge ad una catalogazione da solito film poliziesco, mostrando attraverso una sceneggiatura realistica e un montaggio iper cinetico una realtà ben adattata al tipo di storia.
Ma dall'altro, non bastano ritmo sostenuto e gag divertenti per stemperare la tensione, perché si dà troppo spazio a fronzoli che annoiano e aumentano inutilmente la durata del film.
Come nel finale.

Con ottime prove per Jake Gyllenhaal (Source Code) e Michael Peña (Gangster Squad) e una stucchevole caratterizzazione delle loro vite, si evita un probabile egocentrismo dettato dalla presenza di un personaggio ipnotico; riuscendo così a rendere il tutto più attinente alla contestualizzazione della realtà rappresentata.

Insomma dopo il deludente Harsh Times, David Hayer (Training Day) ritorna nuovamente in veste di regista, sceneggiatore e produttore con una storia ben diretta ma che per forza di cose passa inosservata.


Per gli amanti del genere si consiglia la visione della serie The WireThe Shield e una produzione francese Braquo


*O qui per vederne una parodia nei Simpsons


giovedì 22 novembre 2012

Moonrise Kingdom. [Recensione]





"Vorrei vivere in un film di Wes Anderson" cantano I Cani, che a parte l'odioso mondo hipsteriano cui fa parte la band, non hanno tutti i torti.
Forse passerà alla storia come il regista più sottovalutato dal pubblico o quello più colorato di sempre, ma Wes Anderson è da applaudire in ogni sua piccola produzione. 

Siamo negli anni '60 su un'isola del New England.
Una fuga d'amore di due ragazzi da un campo estivo sconvolge la piccola comunità, che sarà costretta ad organizzarsi per ritrovarli prima dell'arrivo di una terribile tempesta. 

Dopo aver dissacrato i rapporti affettivi di una famiglia ne I Tenenbaum e in Darjeeling Limited, fuso Il Vecchio e Il Mare con Moby Dick ne Le Avventure Acquatiche di Steve Zissou e mostrato che anche una comunità di volpi ha i suoi problemi in Fantastic Mr Fox, Anderson torna con una struggente e vivacissima pellicola: Moonrise Kingdom
Qui il suo talento narrativo serve una storia deliziosa dalle tematiche a lui care, il rapporto tra vecchio e nuovo, gli anni '60, le camice a quadrettoni e la stravaganza dei personaggi.
Il tutto arricchito dalla presenza di grandi attori: Edward Norton, Frances McDormand, Bill Murray, Bruce Willis, Tilda Swinton.  

Per la seconda volta in collaborazione con lo sceneggiatore Roman Coppola, il film non risparmia gag dal sapore agrodolce, che variano il registro e rendono perfettamente momenti di estraneazione. Sfumando con dramma e azione un contesto apparentemente dolce e spensierato.



- What Kind of bird are you? - I'm Raven. 


- I love you but you don't know what I'm talking about.
[...]
- We're in love. We want to be together. What's wrong with that?

Moonrise Kingdom è come sfogliare un libro per ragazzi e tagliarsi i polpastrelli con le pagine. 
Ma al contempo permette di divertirsi senza dimenticare di riflettere su quello che apparentemente è insignificante o poco maturo. 

Da vedere. 
Almeno per Bruce Willis.






martedì 20 novembre 2012

È facile smettere di blog se sai come farlo.





La pioggia cade a dirotto; lo sbattere continuo ed incessante dell'acqua, prepotente come un israeliano su Gaza, copre i miei goffi tentativi di soffocare bestemmie per aver regalato soldi alla Snai e mi ricorda che devo pisciare.

Nel cesso c'è odore di ammoniaca.
Abbasso i pantaloni, e dirigo una zampillata di acqua gialla.
E fuori piove.
Che bella metafora.

Così penso.

Avete presente quello strano imbarazzo quando uscite dal bagno ed incontrate qualcuno che ci sta per entrare?
Come dire, oh se senti puzza di fagioli borlotti bagnati da dell'ottimo Negroamaro, è colpa mia.
Ecco, è così che immagino questo blog.
Un imbarazzante modo per dire: guardate, ci sono anch’io.

Insomma.
Potrei essere Batman coi genitori.
Lo scopamico che si presenta ai genitori di lei.
L’invitato che grida, auguri agli sposi.
Un palestinese senza barba.
Il vino rosso in frigorifero.
La parola negro.
II cameramen che urla al regista, USIAMO UN CAMPO LUNGO, per inquadrare Giuliano Ferrara.
Una puntata di Piazzapulita.
Le bestemmie su Angry Birds.
La sigaretta elettronica di fronte un malato di cancro ai polmoni.


O fare statistica.
Tipo me che gioco a GTA, trascorrendo il tempo ad investire pedoni; giusto per attirare l’attenzione del TG2 e chiedermi se avevano una famiglia. 

Flash.
In Italia è il caos.
Una fredda serata trasformata in tragedia; la gente è disperata.
Non so esattamente su cosa, "Squadra Antimafia che fine di merda" sento.
Cosa? Saviano è morto?
Prepariamo Servizio Pubblico per la diretta. 

Ho anche finito di pisciare.
Scrollatina, brivido della pipì e torno a bestemmiare.
Ah, per cosa?

Piove.
In un mondo in frantumi.