venerdì 23 gennaio 2015

The Imitation Game Vs. The Theory of Everything [Pre - Oscar 2015]

Quando nel 2001 con A Beutifull Mind Ron Howard raccontò dello scienziato John Nash, ci si trovò di fronte una rilettura moderna della classica narrazione biografica imposta dal cinema di John Houston. La brandizzazione del “genio” fu compiuta grazie anche all’ausilio di una colonna sonora suadente e sensazionalistica e protagonisti simil anti – eroi.
Fu così creato un precedente, un paradigma, cui i successivi registi si allinearono.


The Imitation Game e The Theory of Everything, biopic su due brillanti personalità a cui le scienze moderne devono molto se non tutto, Stephen Hawking e Alan Turing.
La Teoria del Tutto, diretto da Jams Marsh e tratto dall’omonimo libro della moglie di Stephen Hawking, narra del celeberrimo cosmologo il cui scopo fu ed è tuttora la dimostrazione di una “equazione del tutto”, una formula che spieghi anche l'origine del tempo.


La pellicola si concentra maggiormente sul rapporto d'amore tra lo scienziato e la moglie, limitandosi a semplici accenni alle sue scoperte. Formalmente non si sottrae ad una contaminazione pop, con delle epifanie rese come fossero le geniali intuizioni del Dottor House. Ma il massimo della dimostrazione dell’avvenuta fusione tra la rappresentazione classica e quella rocambolesca da Blockbuster del cinema americano è il momento in cui Hawking rivolge il primo sguardo alla sedia a rotelle; una scena che potremmo accostare, senza peccare di humor nero, all'assemblaggio della maschera su Darth Vader o del costume di Iron Man su Tony Stark.
D’altronde si è davanti ad una presa di consapevolezza dei propri limiti fisici e del modo cui supearli dall’altra. Poiché “se l'universo non ha limiti, allora non li ha nemmeno la mente umana”, un motto che riecheggia la filosofia del Professor Xavier, guida degli X Men e privato di abilità motorie anche lui.



Nella seconda pellicola, The Imitation Game, diretto da Morten Tyldum, conosciuto maggiormente per Headhunters, la storia si sviluppa con una direzione più convenzionale. Il protagonista è Alan Turing, forse la mente più enigmatica del nostro secolo.
Nell'Inghilterra della seconda guerra mondiale, reclutato in segreto dall'esercito come crittografo con il compito di decifrare Enigma, un codice nazista, Alan intuisce la necessità di costruire un calcolatore – il capostipite del moderno computer – che potesse scoprire in poche ore il rebus nazista. Ma osteggiato per la sua folle idea ci riuscirà non con poche sofferenze.
“La violenza esiste perché provoca appagamento, ma se le togliamo questo appagamento non ha più ragion d’essere.”
Turing fu in seguito accusato di omosessualità – in Inghilterra reato per diverso tempo - e condannato al carcere; pena che scelse di commutare in castrazione chimica. Dopo qualche anno si suicidò mangiando una mela avvelenata.
Sottoposti a due tipi di violenza differenti, l'ironia della vita nel limitare una mente illimitata in Stephen Hawking, e quella primitiva delle convenzioni sociali per Alan Turing, entrambi ricorrono all’artificio della macchina per continuare a far vivere il loro genio, superando i confini della realtà fisica e del benpensantismo.
Ci riesce meglio la patinata tragedia dell’inglese Marsh rispetto ad una più preconfezionata – in vista degli oscar? – opera sul genio di Turing. Se nel primo caso assistiamo in effetti ad una narrazione convenzionale ma dritta al punto, nel secondo caso abbiamo una costruzione del protagonista ben fatta sì, ma sommaria degli eventi narrati; si poteva ampliare meglio un discorso come l’omofobia.
Le due opere sono così permeate di ispirazioni differenti – come è giusto che sia – segnano ulteriori passi avanti nel Cinema contemporaneo. C’è la voglia di raccontare storie di uomini tenaci e caparbi, scavalcando quella fiacchezza e quell’arrendevolezza giovanile dei nostri tempi – e quella volontà di denunciare la perversità dell’anti progressivismo.


"Perché le persone che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo sono coloro che lo cambiano davvero."

marcodemitri®

1 commento:

  1. Eh si, in The Imitation Game si poteva fare molto di più. Buon film, ma manca una parte importante sull'omossesualità.

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