mercoledì 22 gennaio 2014

La Santa [Recensione]


Ne hanno parlato in pochi, pochissimi, eppure La Santa, il nuovo film di Cosimo Alemà presentato al festival di Roma, è un thriller interessante dalla tinte noir e interamente ambientato tra le campagne salentine.




La storia è semplice: quattro banditi, un po' maldestri, si recano in un paesino del sud italia per rubare una statua custodita nella chiesa del paese.
Il motivo non è ben specificato ma, a quanto pare, è il vero e proprio MacGuffin della pellicola.
Il furto, però, non va secondo i piani e i protagonisti, già individuati come "forestieri" diventano l'obiettivo dei paesani che, armati dì fucili, mazze e pietre iniziano una caccia all'uomo per stanarli e riportare l'ordine.
Il racconto del cineasta romano è principalmente una critica al clima di oscurantismo che imperversa ancora determinate realtà meridionali. È emblematica la rappresentazioni degli abitanti, guerrafondai e completamente accecati dall'odio per il furto di una statua. Ma quello che più incuriosisce e colpisce lo spettatore è la descrizione dei vizi degli abitati, che escono fuori solo nell'ombra e quando nessuno può vedere. Che sia l'amante della moglie o l'accenno a pratiche sessuali perverse, il tutto sembra essere puntato a smascherare l'ipocrisia della buona fede cattolica. Gli stessi cattolici che sfogano il loro odio davanti la prole.
Il cast è valido. Dalla sensuale Lidia Vitale in veste di femme fatale, al feroce Massimiliano Gallo, passando per l'astro nascente Gianluca di Gennaro e il più navigato Francesco Siciliano.
Cosimo Alemà si spinge oltre l'ottimo lavoro fatto con Un Giorno Senza Fine e mette in ordine l'esperienza maturata con i videoclip.
La Santa, che in gergo mafioso è anche l'organizzazione mafiosa, è una pellicola grottesca, che non si vergogna di mostrare il suo lato più surreale, e sfoggia, come un vanto, le influenze del cinema di Fulci - non si sevizia un paperino in primis - .
Le uniche pecche le dimostra proprio quando cerca di uscire fuori dagli schemi. È un ritmo troppo veloce nella seconda parte e si disperde in una idea di storia forte troppo complessa per l'impostazione iniziale.
Ma tutto sommato è valido.
Perchè in novanta minuti si riporta molto bene la sensazione di chi si avventura in questi paesi sperduti nel tempo, dove ci si sente alienati tra le ombre degli ulivi e l'odore di pasta fresca.

Cercate di recuperarlo che ne vale la pena.


marcodemitri®

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