venerdì 4 gennaio 2013

La Regola del Silenzio [Recensione]




Che i thriller moderni siano ormai infarciti di politica e lotta al terrorismo è lampante. Voglio dire, è difficile trovare altri temi nell'attualità oltre questi. Quindi risulta complesso riuscire di volta in volta a intessere trame intriganti, che non sappiano di già visto, insomma.
Redford ci riesce almeno in parte.

Una donna viene scoperta dall'FBI come latitante da oltre trent'anni. Faceva parte del collettivo anarco insurrezionalista contro la guerra in Vietnam. Di conseguenza i suoi vecchi colleghi, vengono allo scoperto e iniziano a fuggire. Solo uno di loro, un avvocato con falsa identità, cercherà in tutti i modi di trovare le prove: ma per cosa? Un giornalista inizierà a raccogliere i pezzi del puzzle per scoprire la verità.

Dopo i poco brillanti Leoni per Agnelli e The Conspirator, Redford confeziona un thriller semplice. Con una sceneggiatura infarcita di taglienti battute sulla situazione giornalistica e imperialista americana, il film si accende cercando di proporre toni controversi. Con poco carisma.
La pellicola traspira esperienza sessantottina da tutti i pori, complice il grande polso di Redford, ma diventa ingenua quando cerca di osare.
Parliamoci chiaro: è ben strutturato. Ma fa il suo lavoro. Un thriller Intelligente quando pone l'interrogativo sullo spazio da riservare al giornalismo nel privato, patetico quando cerca di strutturare una caccia all'uomo. Con un Redford, tra l'altro, che assomiglia ad un Sylvester Stallone in giubbotto di pelle. Shia Lebaouf, poi, l'attore più sopravvalutato di sempre. Susan Sarandon che lascia recitare le sue occhiaie e un Terrence Howard per la serie "il nero duro capo dell'FBI". Ottimi per il poco tempo riservatoli, Stanley Tucci e Nick Nolte, quest'ultimo ormai sembra un personaggio simpsoniano.

Dunque una pellicola che si lascia guardare, intriga fino ad un certo punto ma non eccelle.
Consigliato ai fan del genere.
E alle amanti di Robert Redford.

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