A Martina dissi.
Dissi.
A dire il vero ci volle un bel po’ prima di trovare il
coraggio. Eravamo insieme da poco e non mi dispiaceva il nostro
rapporto.
Il sabato sera al Sette
di Sette, la domenica al Misvago.
Il sabato sera della settimana successiva al Bambù. Poi al Womb.
La domenica al Misvago
e poi al Cagliostro.
E così via: corsi e ricorsi e via trinchese.
In generale ci alternavamo in base al tempo e alla gente,
non ci piaceva dare l’idea di una coppia fossilizzata nei soliti locali. “Tendenza” era il nostro cognome.
Ma da salentino core
presciatu - antica tradizione di maschi meridionali – dovevo
confessarglielo; dovevo dire alla fimmena
quello che qualche mese dopo sarebbe successo.
Anche se non facevo di cognome Dovere.
Marco devi dirglielo,
su caccia le palle e confessa quello che stai per fare.
L’occasione si presentò fresca e limpida una sera, seduti al Raphael durante uno spritz e un’aspirazione con conseguente espressione sofisticata e sguardo fascinoso ad una sigaretta elettronica, in quel momento particolarmente amarcord: le confessai tutto.
L’occasione si presentò fresca e limpida una sera, seduti al Raphael durante uno spritz e un’aspirazione con conseguente espressione sofisticata e sguardo fascinoso ad una sigaretta elettronica, in quel momento particolarmente amarcord: le confessai tutto.
Ma proprio tutto.
“Marti… Marti…”
“Che c’è? Sto facendo un selfie!”
“Marti devo dirti una cosa.”
“Che c’è? Sto facendo un selfie!”
“Marti devo dirti una cosa.”
“Che è successo?”
Posò il telefono sul tavolino. Il volto si fece serio tra le
capriole di fumo sintetico.
“Aim going in de unaited steits!”
Glielo dissi, così, all’inglese.
“Cene?”
“Ich gehe in die USA!”
Glielo dissi, così, in tedesco.
“Ma che stai passando? Ah? Parla come mangi!”
Glielo dissi, così, in tedesco.
“Ma che stai passando? Ah? Parla come mangi!”
“aokfmaofmaoègnag”
Glielo dissi abbuffandomi.
Glielo dissi abbuffandomi.
“Vabbene meh, non so proprio cosa ti sta succedendo amò.”
Le raccontai per filo e per segno il progetto.
Quello che tra ottobre e novembre avrei dovuto fare. Lei mi guardava, le
pupille dilatate, le labbra all’ingiù, il mascara iniziava a colare. Le lacrime
a rigarle il volto.
“Non ti preoccupare tornerò dall’America. Tornerò.”
“No, amò. No. Ho solo paura di una cosa… una sola.”
“Dimmi, Marti, dimmi. Parla.”
“Dimmi, Marti, dimmi. Parla.”
“Ma nu n’è ca ha scire all’aeroportu delli baresi, no?”
"Mysia."
“Allora amò vai pure, diffondi il nome del Salentoh nel mondo!”
“Allora amò vai pure, diffondi il nome del Salentoh nel mondo!”
E iniziò così la scoperta del nuovo continente dove la
parola Lecce la usano gli ispanici per chiedere “latte”.
Lo scrivo perché è una cosa che ti fa rimanere male.
Ma proprio de cazzu.
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Per il resto è stato Il viaggio che sogni da quando sei un bambino.
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27
ottobre – 17 novembre.
Prima di iniziare vi spiego l’itinerario.
Il reportage si divide in due parti: Costa Est e Costa Ovest.
Di cui:
1 al Big Sur.
6 a Los Angeles.
1 a Las Vegas.
Nello specifico:
11 giorni ospite da un amico a New York.
4 a San Francisco con visita ad Alcatraz.
Poi con l’auto diretto fino a Los Angeles con pernottamento
a metà del viaggio al Big Sur.
Infine ultimi giorni a Los Angeles e uno a Las Vegas.
Un viaggio diviso in tre parti.
Con tre itinerari differenti e due coste da visitare.
Ci sono da dire diverse cose su questo viaggio. Molte le leggerete altre ve le scrivo qui:
Le foto sono state realizzate in tutto o in parte da un amico, un compagno di viaggio, che ringrazio. Il mio telefono ha sofferto di gravi ammaccature sul vetro della fotocamera e non ha retto il ritmo, l'emozione, l'enfasi del viaggio.
Questo è un reportage, come in molti avranno capito, ironico ma tremendamente vero. Ho solo trattato l'argomento immergendomi nei panni di un salentino medio.
Ci sono da dire diverse cose su questo viaggio. Molte le leggerete altre ve le scrivo qui:
Le foto sono state realizzate in tutto o in parte da un amico, un compagno di viaggio, che ringrazio. Il mio telefono ha sofferto di gravi ammaccature sul vetro della fotocamera e non ha retto il ritmo, l'emozione, l'enfasi del viaggio.
Questo è un reportage, come in molti avranno capito, ironico ma tremendamente vero. Ho solo trattato l'argomento immergendomi nei panni di un salentino medio.
Si Parte!! Vrommm! |
Il Boing dell’Alitalia, modello A330, indicato da un
ragazzo incontrato in agenzia viaggi come “enormeeeee ete”, si
presenta grande in effetti. In dotazione hai cuffie, cuscino, coperta, il
tutto verde e bianco per rispettare i colori della compagnia. E, per rendere il
viaggio più comodo, si aggiunge un collegamento gratuito, accessibile tramite
schermo touch incastonato sul sedile di fronte a te, ad una collezione di
documentari e film e telefilm e musica gratuiti. Per un viaggio che dura nove
ore, che ti costringe a condividere aria e spazio con persone sconosciute e, se
soffri di timidezza, ti impedisce persino di alzarti senza imbarazzo,
l’asocialità multimediale è la scelta migliore. Un collegamento touch, poi:
l’asocialità 2.0.
La visuale fuori è monotona, una distesa di nuvole bianche e
soffici. Non è ancora il momento. E così provi a dormire, avvolto dalla coperta
verde e bianca. Ti senti coccolato, sì.
Otto ore dopo.
La mano tremante, vigorosamente ancorata al bracciolo, lo
sguardo rapito dalla visuale ovale del finestrino alla tua sinistra. Non vuoi
perderti il momento esatto, il primo momento in cui i grattacieli desiderati
punzecchiano la visuale.
Si intravedono. Sono lì, non ancora alti e imponenti. Non ancora.
Si intravedono. Sono lì, non ancora alti e imponenti. Non ancora.
L’aereo inizia a virare, si abbassa di quota e si avvicina,
il sole si riflette sugli specchi di cristallo. Muovi le dita, metti Bruce
Springsteen e dentro di te urli “Boooooorn in the iuuuuesseiiiii!”
È una sensazione magnifica, la prima sensazione americana.
È una sensazione magnifica, la prima sensazione americana.
Ddhadissi, è la parola giusta.
Attesi il via dal personale di bordo prima di riaccendere il
telefono e mandare i vari messaggi contrattati preliminarmente con i miei. Il
cellulare anche se rimasto spento per circa dieci ore, era caldo. E io
conoscevo il motivo. Avevo specificato, oralmente e per iscritto, che sarei
partito alle 11 e 30 da Roma e sarei arrivato alle 17 e 30 ora locale a New
York – quache minuto prima o dopo poco importa - . Appena scattato quel 17 e 31
partirono le chiamate; l’ansia la sentivi anche a mille mila chilometri.
Le interviste a Quarto
Grado.
Mia madre: mmh, è
morto per attacco terroristico.
Mio padre: mmh, avrà
infastidito qualche gang.
Mia nonna: ma ha mangiatu
lu piccinnu?
A mia madre avevo tra l’altro specificato “vedi che ci sono
sei ore di fuso orario tra Lecce e New York”. Mi rispose “ah, quindi qui è
giorno e lì è notte?”. “Eh, dipende, no?”. Ostinata continuò “ma se a Lecce è
estate lì è inverno?”. “No, mamma, siamo sopra l’equatore quindi stessa
stagione.” “Lecce è sempre calda. Lecce nostra”, “vabbè”.
Poi passai a mio padre.
“Papà parto”.
Poi passai a mio padre.
“Papà parto”.
“Sì, i soldi ce li hai?”
“No, guarda, parto senza soldi.”
“Come senza soldi? E come fai a vivere?”
Lo lasciai sulle spine.
“Come senza soldi? E come fai a vivere?”
Lo lasciai sulle spine.
Infine toccò a mia nonna. Fu uno scoglio duro. Molto duro.
“Ma
marcu a du sta bai?”
“In America, nonna.”
“Statte attentu nu te pigghi l'eRbola, ddhai comu se chiama.”
“Tranquilla, nonna!”
Qualche secondo di riflessione.
Mi guardò.
“Mmh…”
Capii subito dove voleva arrivare.
Ruotai le pupille e chiesi, quasi sbuffando.
“Dimmi nonna, dimmi…”
“Ma.. a dhai..”
“Siii?”
“Mangi, no?
“No, nonna, li non mangiano-“
“A sorte mia, speramu lu signore cu no torni deperitu.”
“In America, nonna.”
“Statte attentu nu te pigghi l'eRbola, ddhai comu se chiama.”
“Tranquilla, nonna!”
Qualche secondo di riflessione.
Mi guardò.
“Mmh…”
Capii subito dove voleva arrivare.
Ruotai le pupille e chiesi, quasi sbuffando.
“Dimmi nonna, dimmi…”
“Ma.. a dhai..”
“Siii?”
“Mangi, no?
“No, nonna, li non mangiano-“
“A sorte mia, speramu lu signore cu no torni deperitu.”
Ma con un “Non vi preoccupate, sono arrivato sano e
salvo” me la sbrigai.
Airport, JFK.
Trasportato su un nastro meccanico, giunsi nell’atrio
principale dell’aeroporto, il JFK, John Fitzgerald Kennedy, come una via a
Trepuzzi.
Mi chiesi subito se ci fosse nella Grande Mela via Trepuzzi, senza successo; ma di questo ne parleremo dopo, però.
Mi chiesi subito se ci fosse nella Grande Mela via Trepuzzi, senza successo; ma di questo ne parleremo dopo, però.
La struttura è addobbata di bandiere a stelle e strisce,
uguali a quelle che puoi trovare da Elio Zema, e poliziotti.
Ma fatto
ancora più impressionante è essere accolti da un tizio di colore, alto e grosso
che non mi vende accendini. Non prendetemi per un provinciale, ma se sei
abituato a vederli in giro per la città ad offrirti, insistendo, di comprare
qualcosa, difficilmente non resti basito di fronte un uomo enorme, con il tono
di voce di Balotelli, che ti perquisisce. Le
cose alla merza, direbbe qualche anziano in Piazza S.Oronzo.
C’è un
tizio che dirige le file, e mi obbliga ad inserirmi ordinatamente in una.
Che,
lasciatemelo dire, è qualcosa di noioso perché le uniche file che conosco sono
quelle del trenino di Capodanno. Mentre così disposto sembro una sezione di un
serpente, un lungo serpente. E a me i
serpenti fanno paura.
“Come on,
fast, fast”.
Giungo ad
una cassa, una cabina con un pelatone che mi scruta, prende poi le mie impronte
digitali alché chiedo “ce l’ho sull’iPhone” ma dopo avermi guardato male, molto
male, mi dice di andare via.
Prendo le valigie e sì, ora posso dirlo: sono negli Stati Uniti D’America.
Prendo le valigie e sì, ora posso dirlo: sono negli Stati Uniti D’America.
A Martina scrissi
“ho sempre sognato di andare negli States e ora si è realizzato questo sogno”.
Lei mi
rispose “passa da Tiffany che mi compri qualcosa.”
New York, Primi giorni.
A New York
è tutto grande, enorme. I grattacieli, le auto, le persone. Sono tutti dei Paolone giganti con i tatuaggi e con il gippone.
Non hai tempo per riflettere su quanto tu sia piccolo. Lasciare Lecce, la
capitale del sole, del mare e del vento non è stato facile. E lo ripeto a me
stesso, illuminato da una fioca luce di un treno che attraversa Brooklyn.
Le strade non hanno nomi, o meglio: sono divise per numeri. Si incrociano in vie verticali e orizzontali, formando precisi quadrati e rettangoli. I nomi delle vie, in realtà, ci sono, ma non si usano molto.
Le strade non hanno nomi, o meglio: sono divise per numeri. Si incrociano in vie verticali e orizzontali, formando precisi quadrati e rettangoli. I nomi delle vie, in realtà, ci sono, ma non si usano molto.
La casa del
mio amico dista più di quarantacinque minuti da Times Square. O circa quindici
fermate di metro. Non ho molto tempo per disfare i miei bagagli, ho solo quello
sufficiente per lavarmi e capire dove sono.
A New York Marco, quante volte te lo
devo ripetere?
Lo so, ma fa più effetto figo
chiedersi nel mezzo di un reportage dove sei.
Ciao, me ne vado.
*Indosso occhialino e mi do un tono
da professore
New York è
divisa in cinque distretti Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn e Staten Island.
Dove abito io è la zona più popolosa, la più multiculturale. Se
fosse una città autonoma sarebbe tra le più grandi degli States insieme Los Angeles e Chicago.
Ok, ok.
Non fa
molto freddo nel cuore di Manhattan, nel cuore del centro turistico per
eccellenza.
C’è un
miscuglio di razze, gente che viene da diverse parti del mondo. Le più
disparate. Esplode di colori misti a luci ed eccitazione. I selfie sono più
delle persone e vengono catturati distanziando il telefono con un braccio di
alluminio. E poi sorrisi a denti stretti, e gli occhi contratti. È magico. Sono
le foto che tu devi fare se ti trovi in questi posti.
Da noi è il
mare ad attirare i turisti.
Qui sono i grattacieli
a rilassare, le luci.
Mi fermo a
mangiare il mio primo hamburger in una catena che ritroverò spesso.
Applebee’s, non male ma non ancora il massimo.
Apprendo il concetto di mancia. I camerieri ti rilasciano uno scontrino, con il "tip", cioè la mancia. In pratica guadagnano solo su quello e tu, che i primi tempi non sai come funziona, gli lasci sempre il massimo. Essa è infatti calcolata in una percentuale dallo 0 (servizio pessimo) al 20 (eccellente). Ma non conoscendo tutto questo, mentre loro sono lì a fissarti e a esclamarti un "cough cough", ti fai prendere dall'ansia e gli lascia un sacco di soldi.
Non puoi fare come ai parcheggiatori abusivi ai quali puoi dare anche dieci centesimi e al massimo ritrovarti con la macchina rigata per metà, no: devi lasciare un prezzo stabilito in quelle variabili.
Il mio primo panino mi costò circa 20 dollari.
UN PANINO.
Apprendo il concetto di mancia. I camerieri ti rilasciano uno scontrino, con il "tip", cioè la mancia. In pratica guadagnano solo su quello e tu, che i primi tempi non sai come funziona, gli lasci sempre il massimo. Essa è infatti calcolata in una percentuale dallo 0 (servizio pessimo) al 20 (eccellente). Ma non conoscendo tutto questo, mentre loro sono lì a fissarti e a esclamarti un "cough cough", ti fai prendere dall'ansia e gli lascia un sacco di soldi.
Non puoi fare come ai parcheggiatori abusivi ai quali puoi dare anche dieci centesimi e al massimo ritrovarti con la macchina rigata per metà, no: devi lasciare un prezzo stabilito in quelle variabili.
Il mio primo panino mi costò circa 20 dollari.
UN PANINO.
“Martina,
sono nel letto. Provo a dormire ma sono troppo emozionato.
Pensa che
qui fanno le file anche per mangiare gli Hot Dog. Li vedi uno dietro l’altro,
fanno impressione. Ho fatto qualche selfie ma non mi hai ancora commentato. Sì,
ho trovato anche Tiffany. Ma non ti dico cos’altro in caso mi lasci al verde.
Per il
resto ‘uttappost. Mi raccomando salutami tutti. Un kiss.”
Il letto è
morbido, forse troppo. Il mio amico mi ha sistemato in una stanza che usa
affittare. Per quel poco che ho visto, non tengono molto alle formalità e
all’igiene. C’è un centimetro di polvere. E non hanno il bidet.
Un “mah” è
l’ultima esclamazione che intono nel buio, e poi mi addormento. Stanco e un po’
disorientato per via del Jet Lag.
I giorni trascorrono.
Provi ad immaginare a come sarebbe bello se questi new yorkesi si fermassero un
attimo, aprissero google maps e guardassero le foto del nostro Salento. Il mare
cristallino e il cibo salutare. La nonna che ti imbottisce di salse e pasta e
se non finisci di mangiare si offende. E continua a riempirti il piatto. È più
o meno come qui in un ristorante con l’insegna luminosa e le hostess pettorute
e scoperte. Loro ti riempiono il bicchiere di birra e ti portano un piatto
enorme pieno di carne. E sorridono sempre e ti chiedono come va. Alla fine
vogliono la mancia, e sì, è un sistema diverso ma è pur sempre uno scambio di
sorrisi in cambio di qualcosa. Che sia la nonna a riempirti il piatto per
vederti ingrassare o la tizia orientale in latex per sentirsi la tasca piena.
Io comunque mangio della carne della Louisiana. È piccante, molto piccante ed è
glassata di salsa barbecue. È buona e il gusto lo senti tutto, non come quella
del McDonalds a Lecce.
Ma non
riesco a finire di mangiare, ho la pancia gonfia, pago e vado via.
A Martina
scrivo “New York è una favola, dillo alla nonna e dille anche di non chiamarmi
la mattina perché col fuso orario qui è notte”. Glielo scrivo a caratteri
cubitali per meglio evidenziare il concetto. Avrà capito? Non lo so ma passo
avanti lo stesso.
Vedo questo:
Vedo questo:
Rispondo con questo:
Non voglio aggiungere altro sulla questione caffè. Le persone che non conoscono il caffè Quarta, il caffè in Ghiaccio, non capiscono nulla. I pasticciotti. Madò, non voglio proprio discutere di questo.
Tante volte mi sono trovato ad affrontare il discorso, ci sono alcuni che ti guardano stralunati. Altri ti rispondono che il caffè in ghiaccio puoi trovarlo da dunkin' donuts.
(tanto per intenderci è la catena che vende queste leccornie:
Però non so perchè il caffè Quarta non lo vendono in tutto il mondo. In fondo è: il miglior caffè del mondo. Ah.
“David
Letterman, qui fanno David Letterman”, sento urlare alle mie spalle. Sono una
coppia di italiani in vacanza di nozze. E per fortuna che me lo urlano
altrimenti non avrei mai immaginato che il teatro Late Night fosse quello del
caro David.
Ma non mi interessa più di tanto. Apro google e cerco il pub dov’è iniziato il fenomeno Alla fine arriva Mamma (How I Met Your Mother, secondo i torrent).
Ma non mi interessa più di tanto. Apro google e cerco il pub dov’è iniziato il fenomeno Alla fine arriva Mamma (How I Met Your Mother, secondo i torrent).
Non è molto
lontano e mi ci dirigo spedito.
Eccolo.
Foto di
rito e riprendo a passeggiare, il sole sopra di me, io con una tracolla e uno
stile che urla “sono italiano, meridionale.”
Top Beggione, come direbbero nella mia città.
Per pranzo
questa volta scelgo del cibo di strada. In molti mi consigliano un chioschetto
stazionato in una bella posizione. È fatiscente e un pugno nell’occhio di
fronte alle immense strutture di metallo. Chiedo un piatto di carne e insalata
e riso, me lo servono velocemente. Poi cerco di approfondire la loro storia
perché sono interessato. Mi dicono “siamo qui da diverso tempo”, “New York è
molto costosa ma noi riusciamo a pagare l’affitto. Non ci lamentiamo dato che
viviamo nel cuore commerciale della città.” In effetti sono un po’ ovunque e
non sono ben visti dagli altri camioncini perché sono riusciti ad accaparrarsi tanti clienti. Sono i migliori, in pratica.
Per un
prezzo assolutamente onesto.
Un po' come quel marketing da strada che Massimo del PD al Mercato dei fiori di Lecce attuava con tanto amore.
"Scusi il mio panino è pronto?"
"Ce buei?"
"... dico.. il mio panino è pronto?"
"C'ha pijatu?"
"Un PD..."
"Un attimo."
Prende un megafono e urla:
"PORCUDDDIU se chiama!"
Un po' come quel marketing da strada che Massimo del PD al Mercato dei fiori di Lecce attuava con tanto amore.
"Scusi il mio panino è pronto?"
"Ce buei?"
"... dico.. il mio panino è pronto?"
"C'ha pijatu?"
"Un PD..."
"Un attimo."
Prende un megafono e urla:
"PORCUDDDIU se chiama!"
Dai, è carino in fin dei conti |
“Cos’è
questo schifo?” mi risponde Martina quando vede la foto. Glielo spiego.
“Non è che
mi ritorni obeso, no? Che poi non ti voglio.”
Le dico di
non preoccuparsi.
Ora sono in
viaggio verso Ellis Island e Statua della Libertà.
A bordo di
un grosso battello, subito dopo aver visitato la Statua Della Libertà e pagato
un extra, giungi su questa isola. Non molto grande. La prima isola, la prima
terra ferma, la prima meta di un immigrato. Nel Padrino Parte II è l’isola dove
Robert De Niro approda prima di tutti, dove gli fanno i controlli. E io sono
nell’atrio ora, quello centrale. C’è un caldo e un silenzio assordante. Le luci
si riflettono sul pavimento lucido. È spettrale e commovente l’atmosfera.
Pensare che qui, in quest’area giungevano coloro che sognavano la libertà.
L'atrio è diviso in tante stanze ognuna delle quali aveva una destinazione d'uso. C’era quella con i dottori per curare le malattie, quella per lavarsi.
sembra l'entrata dell'Hotel di Shining |
L'atrio è diviso in tante stanze ognuna delle quali aveva una destinazione d'uso. C’era quella con i dottori per curare le malattie, quella per lavarsi.
Erano
ammassati i primi visitatori in dei letti che ricordano gli orfanotrofi.
Tanti
poveri sventurati sono giunti qui
mossi dall’idea di “libertà”, mi fa stare male.
Cerco di
rimanere il più lungo possibile per sentire quel silenzio assordante.
Ma poi mi
viene fame e sono costretto a cercare qualcosa da mangiare.
Il solito, grazie.
Hamburger e patatine?
Ovvio.
La statua della Libertà è tutto sommato piccola. Molto piccola. Si trova su un'isola anch'essa piccola e per accedervi non ci vuole molto, superati i soliti controlli.
Mi diverto a guardare i piccioni che volano da una parte all'altra e faccio qualche foto. Poi penso al simbolo del nostro Salento.
La statua di Manuela Arcuri.
L'unica differenza è che quella puoi toccarla, palparle tette e culo si fa per buon auspicio, la Statua della Libertà no.
Anzi: t'ammazzano con i cecchini.
La statua della Libertà è tutto sommato piccola. Molto piccola. Si trova su un'isola anch'essa piccola e per accedervi non ci vuole molto, superati i soliti controlli.
Mi diverto a guardare i piccioni che volano da una parte all'altra e faccio qualche foto. Poi penso al simbolo del nostro Salento.
La statua di Manuela Arcuri.
L'unica differenza è che quella puoi toccarla, palparle tette e culo si fa per buon auspicio, la Statua della Libertà no.
Anzi: t'ammazzano con i cecchini.
Flash, sono gli ultimi giorni.
Ho deciso di andare oltre New York: sono su un bus diretto per Washington.
Il viaggio procede per un bel po' e
mentre gli altri dormono io ho gli occhi puntati sui paesaggi.
Nel Delaware la boscaglia macchiata
di rosso autunnale, appare noiosa.
Ma è comunque uno spettacolo.
Come avevo sempre sognato, come avevo
sempre visto nei film, con i poliziotti con l'auto puntata sulla strada e le
ciambelle sul cruscotto.
Pronto?
Mamma!
Ehi, Marco mio. Come stai?
Tutt..
Come stai? Sta facendo freddo?
Sì. Cioè non ta..
Sì. Cioè non ta..
Copriti bene. Mannaggia. Ma lì è
giorno o notte?
No. È gior..
Madò… ma sta mangi?
Click.
Ora mi ricordo perché non sento molto
i miei.
Washington profuma di finto. L'idea è
quella di una grande città europea costruita sulla falsa riga dei monumenti del
vecchio continente. Gli americani furono i primi cinesi, pensi subito appena
arrivi. Il Campidoglio, la Casa Bianca, i palazzi federali, il tutto rievoca
uno stile copiato pedissequamente anche nei dettagli più insignificanti. Ma a
quanto pare i primi statunitensi percepirono fin da subito gli errori
dell’Ancient regime e cercarono di non ripeterli. La storia della generale
Washington insegna.
Faccio qualche foto ricordo alla sede
dell’FBI, cerco Mulder e Scully ma niente. Continuo con i vari monumenti, tra
cui gli altari dedicati alle vittime delle guerre in Vietnam e Corea del Sud.
La città di Washington mi lascia un
qualcosa di amaro e dolce allo stesso tempo, mi emoziona e mi disturba. Il
tempo trascorre veloce e siamo di nuovo ad un grande Autogrillo, diretti a New
York.
Si torna a casa.
Ma no, casa tua ha il sole e il mare e il…
Sì, basta però.
La differenza tra Europa e Stati Uniti la percepisci anche
dalle piccole cose. Durante il tragitto la guida ti spiega come funzionano le
autostrade, ti indica i vari edifici sullo sfondo e ti racconta qualche
aneddoto. Non ci sono grandi monumenti e avverti una sensazione strana addosso:
li prendi quasi per patetici.
Questo è il ponte sotterraneo di New York costruito
durante il New Deal, il ragazzo ti racconta del ponte. E tu sei lì a far foto.
Il tragitto termina, lascio la mancia alla guida, che non
chiede espressamente ma ce lo fa capire.
Lo saluto e vado via, inghiottito
nuovamente dalla città.
È sera inoltrata e il fumo dai
tombini esce gonfio, a contribuire a regalare ancor più fascino ad una
metropoli decadente.
Lecce mi manca. La più bella città del mondo mi manca. Qui
fa freddo e non c’è il mare. Le persone sono gentili e ordinate. Non puoi
sgarrare.
Tipo l’altro giorno entro in uno Starbucks e, la prima
cassa che trovo mi ci infilo. Oh, che senso ha stare uno dietro l’altro. Ma non
faccio in tempo ad ordinare che una ragazza con gli occhi a mandorla della fila
accanto mi urla “torna indietro e rispetta la fila”. Che modi. Nella Lecce mia
‘ste cose non succedono. Se sei una persona importante e hai la compagnia
giusta mica stanno li a rimproverarti.
Però ci sono affezionato a Sturbacks. Sono più le ore che trascorro in queste caffetterie che a girare. In pratica, invece di stare in piedi al bancone ad aspettare il tuo caffè, paghi e ti siedi al tavolino. Sei circondato da persone di tutte le età, hai il collegamento wifi e puoi mettere in carica il tuo telefono. Di solito sono costruite in punti particolari del quartiere, in modo da avere una visuale molto suggestiva del traffico. E poi la cosa che mi piace è vedere il mio nome sul bicchiere del mio cappuccino. Non è cosa da niente, eh.
Ponte di Brooklyn.
Se visto da lontano assomiglia al grattacielo di Lecce senza luci.
Non scherzo.
Suggestivo per le visuali che ti offre, un po' diverse.
Diurna.
Notturna.
Però troppi scalini, troppi ascensori. Salgono a velocità supersonica.
Dopo un po' non senti più i piedi, soffri di mal di camminare e hai una voglia di uccidere tutti.
Menomale che arrivò il giorno tanto ambito, quello per cui avevo organizzato il viaggio in questo periodo:
Ponte di Brooklyn.
A quanto pare è stato il primo ponte al mondo ad essere stato costruito interamente in acciaio. Sarà. Ma, oltre ad essere percorso da gente folle in bicicletta, uno per poco non m'ammazzava perché sostavo sulla sua corsia (quando mai le bici hanno le corsie, su un ponte poi). A me sincerametne piace di più quello di Torre Chianca sul Bacino. Almeno lì ti metti e hai sole e mare di fronte.
Mi piacerebbe portare questi new yorkesi da me, così per farli abbronzare un po'.
Empire State Building.
Un edificio su cui si arrampicò uno scimpanze, è così che me lo raccontano.
Se visto da lontano assomiglia al grattacielo di Lecce senza luci.
Non scherzo.
Suggestivo per le visuali che ti offre, un po' diverse.
Diurna.
Notturna.
Però troppi scalini, troppi ascensori. Salgono a velocità supersonica.
Dopo un po' non senti più i piedi, soffri di mal di camminare e hai una voglia di uccidere tutti.
Menomale che arrivò il giorno tanto ambito, quello per cui avevo organizzato il viaggio in questo periodo:
Halloween.
Martina oggi faccio tardi, scrivo, non ti arrabbiare, poi
ti spiego.
Non ottengo risposta.
Le passerà appena le dirò che le ho fatto diversi regali, penso.
Le passerà appena le dirò che le ho fatto diversi regali, penso.
Non posso fare presto stasera perché è il 31 ottobre. La “vigilia” del
giorno dei morti. In Italia, a Lecce, si prepara il vestito nero da indossare
il giorno dopo per andare al cimitero, qui, negli States, il costume da
indossare per far baldoria la notte. Perché è Halloween. Il giorno in cui i
morti girovagano sulla terra, la notte in cui i morti riprendono vita.
Negli Stati
Uniti si ha quindi una routine, la gente compra zucche, le intaglia e ci mette
dentro una candela. Secondo la leggenda il culto deriva da un certo Jack O’lantern,
un uomo senza scrupoli che riuscì a prendere in giro persino il Diavolo. Così
quest’ultimo non volendolo nell’Inferno lo abbandonò nel limbo con un tizzone
ardente. Trasformato in una lanterna tramite una rapa e infine una zucca.
In realtà
questa è una tradizione che discende da un culto pagano romano, che fu in
seguito rubato dagli inglesi e diffuso sui territori anglosassoni con il
marketing. Avete presente il babbo natale con la coca cola? ‘Na cosa del genere.
Sulle porte
delle case ci sono zucche arancioni, grandi e piccole. Bambini che scorrazzano
indossando maschere e ragazzi mascherati con pugnali e accette finte.
L’atmosfera ha un sapore anni ’80 e una leggera, leggerissima nebbia aleggia
sulle strade. Ho paura a momenti, paura di divertirmi troppo.
Martina
dopo un po’ mi scrive.
“Ciao. Sono a casa di Stefano con Mario e Antonio. Siamo stati invitati da Maristella per una festa a casa sua. Anche io faccio tardi.”
“Ciao. Sono a casa di Stefano con Mario e Antonio. Siamo stati invitati da Maristella per una festa a casa sua. Anche io faccio tardi.”
Mario?
Stefano? Antonio? E chi cazzo sono? Mi fido dai, so che la mia Martina è una
vera fimmena, una del sud attaccata
al proprio uomo core preciatu.
Le rispondo
“non ti divertire troppo”.
Ottengo
solo un “Tiffany” come risposta.
Stasera
dunque sono invitato ad mega party e poi andrò in giro per la città con altri
ragazzi incontrati. Ma chiedono espressamente una maschera e un vestito. Non ho
la più pallida idea di cosa fare e chiedo consiglio. Mi indirizzano verso una
grande catena di negozi di vestiti in maschera. Ed è qui che trovo il
travestimento perfetto: una maschera in silicone di Jason Voorhees.
Che cosa
meravigliosa.
Flash.
“Italiano?
Prendi birra!”
“Sì, aye.”
(X2)
Gioco a
flip pong, sento urla e puzza di sudore. Un ragazzo accanto a me è un dinosauro.
Sulla parete bianca della casa trasmettono l’NBA.
Intorno a
me vedo strisce e occhi rossi. Non sento freddo. La maschera mi riscalda bene.
Flash.
“Dove posso vomit?”
Metropolitana.
Buio.
Non ricordo
esattamente cosa sia successo durante la notte, la gente tende ad offrirti
tante cose da bere, e tu non puoi rifiutare. La birra costa molto. Ma non ho
tempo per riflettere sui postumi della sbronza, sugli hangover.
A cena di un americano, uno DOC.
Martina?
Una casa
enorme in stile neoclassico.
Più in la
abitò per un certo periodo anche David Letterman poi scappò via perché
inseguito dagli Stalker, mi dice mentre sorseggia un Fresco, un cocktail “leggero” di tequila e soda.
È tutto bellissimo, piove anche.
È tutto bellissimo, piove anche.
Sono seduto
a bere e a guardare il college football, i bambini dell’uomo giocano urlando e
girando per casa.
Io anche
urlo ma dentro.
Tocco con
mano il sogno americano.
Prima di cenare sono andato a fare spesa al centro commerciale. Il più vicino distava circa dieci chilometri.
Appena entro resto colpito da due cose.
Una figa:
Prima di cenare sono andato a fare spesa al centro commerciale. Il più vicino distava circa dieci chilometri.
Appena entro resto colpito da due cose.
Una figa:
Una intera corsia di salse. Di tutti i tipi.
Una spaventosa:
Sì, la birra dei baresi con il logo della Nastro Azzurro.
L'americano medio è un tipo alto e grosso con la pancia tonda. Si aggira per casa stappando tappi di birra o versando vino e altri alcolici. Rutta compiacendosi e poi si scusa. Ha una passione per il barbecue e, mentre da noi "guai a tie se me righi la machina", qui è un "guai a tie se me tocchi lu barbecue".
In fin dei conti sono tipi simpatici, hanno la stessa qualità di battute degne di uno zio.
"Bellazio!".
“Ehi, ciao.
Scusa ma mi sono svegliata tardi. Oggi è sabato e sono al Sette di Sette. Tu
che fai?”
Le scrivo “Piccola, sono stato a casa di un americano vero a guardare college football e mangiare brisket. Sono a casa, ora. Mi manchi”.
Le scrivo “Piccola, sono stato a casa di un americano vero a guardare college football e mangiare brisket. Sono a casa, ora. Mi manchi”.
L’uomo nero.
Rientrando
a casa, una notte, in lontananza la sagoma di uomo nero. Brooklyn ne è pieno.
Cantano e ballano, predicano e sorridono. Sto bene, non ho paura ma come
accadde in aeroporto mi fanno una certa impressione vederli così liberi e
spensierati.
Insomma quest’uomo alto e grosso e nero, verso mezza notte mi viene in contro. Inizio ad aver paura, Marco adesso verrai rapinato come nei film. Speriamo solo rapinato.
Insomma quest’uomo alto e grosso e nero, verso mezza notte mi viene in contro. Inizio ad aver paura, Marco adesso verrai rapinato come nei film. Speriamo solo rapinato.
Lui è
sempre più vicino, io sono indeciso se scappare via o far finta di essere un
duro.
Il tempo trascorre,
mezzanotte e uno. E cinquantacinque secondi.
Cinquantasei.
Sette.
Otto.
Have a good night, guy.
Mezzanotte
e due.
Co..ome? Grazie.. Thanks.
E sorride.
Io resto
allibito.
Nemmeno
l’ombra di un borseggio.
La notte mi
avvolge e io alzo il passo: domani inizia la seconda parte del viaggio e io non
posso perdere tempo.
A Martina
scrivo di essermela cavata bene a New York.
Il leccese
ce la fa sempre perché è dellu mundu cittadino.
Ora vado in California a cercare Arnold Schwarzenegger.
In realtà non ho trovato Schwarzenegger.
Però ho visto altro.
Molto altro.
Il telefono squilla: Martina.
"Pronto?"
"Marco... ti devo dire una cosa."
[FINE PRIMA PARTE]
marcodemitri®
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In realtà sono stati omessi diversi dettagli che, sicuramente, saranno inseriti in una raccolta specifica. Una specie di spin off.
Il telefono squilla: Martina.
"Pronto?"
"Marco... ti devo dire una cosa."
[FINE PRIMA PARTE]
marcodemitri®
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In realtà sono stati omessi diversi dettagli che, sicuramente, saranno inseriti in una raccolta specifica. Una specie di spin off.