giovedì 25 luglio 2013

Dove c'è Wifi c'è Casa.


La più grande invenzione, dopo le lenti a contatto, è il WiFi.
Collegarsi con la rete wireless ovunque si voglia e superare quella lentezza tipica del 3G – che per me è una grande cretinata – è una delle soddisfazioni più grandi dell’uomo tecnologico. Ma non solo. Pensate a me, che in un bar, sono costretto a dire sempre "hai ragione" ad un esaltato che ti racconta di come non ne può più della vita sulla terra e di quanto sia prossimo al suicidio, mi invita anche a provarlo.

"Basta", esclamo, "voglio tornare a casa, voglio il Wifi."

Mi ricordo che esiste una rete cittadina. Così, dopo aver armeggiato un po' con il mac e riportato il mio numero di cellulare, mi arriva un messaggio con password e username.
Fico, penso, è così che si diventa terroristi.

In pochi attimi risulto "Connesso", che bella parola, tra l'altro.

Ora, ogni volta sorseggio un caffè, posso isolarmi e fare la smorfia del folle che non vuole parlare con nessuno. 

Come questa:



"Ma guarda quello è malato del pc. Lasciamolo stare, in caso ci contaggia”.

E te lo dicono mentre si fotografano con l'iPhone e inviano il tutto su whatsup, gli stronzi.

marcodemitri®

sabato 20 luglio 2013

This is The End - Facciamola Finita [Recensione]

Una commedia scritta da Seth Rogen in linea di massima non ha bisogno di molti giri di parole per essere vista e quindi ve lo dico chiaro e tondo: vedetela.



Che sia chiaro, niente di nuovo, ma l'idea stessa di mettere in scena attori che interpretano se stessi e le loro reazioni durante una possibile Apocalisse, è geniale. Una ironia semplice e divertente sullo star sistem statunitense che lascia la pellicola contaminarsi di vari generi. Citazionismo a gogo dunque che non esclude chi non conoscesse il mondo meta - holliwoddiano, al contrario, il merito del film è quello di riuscire a far divertire tutti. 

Però ve lo dico: si tratta di una commedia nera e in quanto tale gioca su situazioni borderline, blasfemia e sesso. Se siete puritani, gente che si schifa facilmente e che non sopporta lo humor negro, beh, statene alla larga. 

E continuate a vedere Don Matteo.  

Alcuni appunti.

- Doppiaggio non male ma il film è da vedere in originale;
- Emma Watson;
- Danny McBride superlativo;
- James Franco che sbeffeggia la sua omosessualità;

- LA MORTE PER CHI HA TRADOTTO IL TITOLO IN ITALIANO. 

marcodemitri®

martedì 16 luglio 2013

Chiedi un caffè in ghiaccio e ti dirò di dove sei.




“Il caffè per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l’amore e caldo come l’inferno” disse Bakunin, che la pensava contro ogni logica, come al solito, perché si vede non era mai stato in un bar italiano. 

Facendoci strada tra la folla che ogni mattina si accalca in una caffetteria italiana e scansando i vari caffè macchiato, freddo o caldo, lungo o corto, in tazza bollente o fredda, che farebbero uscir matto anche un Ghandi nel suo periodo più felice, giunge immediatamente all’orecchio e fa alzare il sopracciglio una stravagante richiesta, tipica dell’estate nel Salento.
Io, che lavoro in un bar, ne ho sentite di tutti i colori: caffè Salentino, caffè speciale, caffè ghiacciato, caffè freddo, caffè alle mandorle. Incluso il più odioso e cioè il milanese dalla pronuncia altezzosa che giunge con un: "non so guardi, quella roba lì che fate voi col cubetto di ghiaccio".  Mai nessuno che riesce a trovare la formula esatta per pronunciarlo: caffè in ghiaccio.
Un’accoppiata semplice, veloce, immediata: una di quelle che subito ti rievoca un pezzo di storia della cultura locale.
Ma fermi un momento: cos'è esattamente il caffè in ghiaccio?

La sua storia nasce negli anni '50.
Lecce è una città semi – sconosciuta, portata all'attenzione nazionale da un film neorealista, “Cadaveri Eccellenti”, solo negli anni ’70, ma poi trasformata in Palermo nella post produzione. È un piccolo paese dalla gente serena e tranquilla: il traffico non esiste, l’Apollo è ancora aperto, un piccolo teatro dal nome Carlino fa capolino nella via principale e ancora nessun problema con via Brenta. Sono terminati anche i lavori di smantellamento di una linea tramviaria che attraversava la città: sì, esisteva un tram, no, non era il filobus, sì, i leccesi sono feticisti delle rotaie urbane.
Nella vivacità culturale di quegli anni, nel secondo dopo guerra esattamente, un umile imprenditore dal nome Antonio Quarta, oggi venerato dagli studenti salentini fuori sede nonchè dai caffeinomani che, con la scusa del caffè "dolce", ne approfittano per spararselo in endovena ogni giorno, ha una brillante idea: perchè non una bevanda fresca con il caffè?
Il caffè è una di quei tonici che nella cultura italiana è un obbligo morale, senza scomodare Kant. È geneticamente provato che alla nascita un italiano esclamerà, prima ancora di mamma e papà, “caffè”.
“Quarta” se salentino ma non pugliese, mi raccomando attenti alla geo localizzazione. Tra l’altro così radicato nella cultura del Bel Paese che non berlo con gli amici ti identifica subito come extracomunitario.
Poi c’è il ghiaccio che è tipicamente freddo. E allora il compianto Antonio, li fonde insieme ed ecco qui che nasce il caffè in ghiaccio.
Quello che fanno nel Salento, che nelle città del nord ti connota subito ad un ossimoro perché terrone ed eschimese, che per fartelo ci mettono una tazzina e accanto un bicchiere con un cubetto di ghiaccio, che per molti è la morte, insomma. 

Ma la vendetta, come si sa, va servita fredda e in un bicchiere col caffè a questo punto, e dunque oggi i salentini hanno avuto l’orgogliosa rivincita sui loro acerrimi nemici: la focaccia barese e il bocconotto.
E così quando un turista chiede cosa può visitare al più presto in città, ancor prima dell’anfiteatro romano, dei resti messapici, del barocco illuminato dalla calda luce del sole, un vero leccese, campanilista per eccellenza anche se investito sulle strisce pedonali, risponderà con fierezza:

eh, l’ha mai bevuto il caffè in ghiaccio?

No?

E che campa a fare allora? 

marcodemitri®

domenica 14 luglio 2013

Addio, D'HO.




Ricordo con dispiacere e condivido questo momento con chi, come me, ha vissuto un'intera infanzia con la voce di Tonino Accolla in sottofondo.

Ace Ventura.
Det. Alex Foley.
John Dolittle.
La Famiglia del Professore Matto

e Homer Simpson.

Già, Homer Simpson.

La morte di uno dei più bravi doppiatori italiani, anche se dopo una lunga malattia, coglie improvvisamente tutti di sorpresa e porta via un pezzo degli anni '90, in un D'HO e una risata.

La sua, inconfondibile.

marcodemitri®




venerdì 12 luglio 2013

Pacific Rim [Recensione]

Ci siamo, l'attesa è finita e, finalmente, Pacific Rim non è solo quel trailer visto e rivisto tre volte al giorno.



Sapete, la mia generazione, quella degli anni '90, non ha ancora avuto e forse non lo avrà mai un film di riferimento; un baluardo mitologico da usare come pretesto per distruggere o consacrare un filone cinematografico. Qualcosa che influenza gli anni a venire. E la mia vita, anche.
L'unico è stato Matrix ma, anche in questo caso, si tratta di una rivisitazione in chiave moderna e con più appeal commerciale di qualcosa che già esisteva. Vedi: Dark City, Paprika, Ghost in the Shell. E poi a sua volta ha questa pellicola generato un sotto mondo con videogiochi, anime e film spirituali.
Sostanzialmente abbiamo dovuto depredare i decenni precedenti dei loro classici: Guerre Stellari, Terminator, Top Gun, Indian Jones.
Con l'unico nostro manifesto, Donnie Darko e dio ce ne scampi, viviamo di vecchie memorie, sempre attualissime per carità, ma senza una vera e propria connotazione temporale.

Siamo i figli e non i genitori di, e credo che d'ora in avanti genereremo prole solo in provetta.
Senza anima e amore.

Poi il progetto Pacific Rim.
Robot Vs. Alieni.
Pensi: no, un nuovo Transformes, no.
Ma: Guillermo Del Toro alla sceneggiatura e regia.
Mmh, interessante.
Primo Trailer: non hai più la mascella.
Lo rivedi: chiara e palese strizzatina d'occhio a Evangelion.
Ti chiedi: cosa sta succedendo.

11 LUGLIO: rinunci a tutto perchè non stai più nella pelle.
Il piccolo Pascoli interiore che urla "siamo arrivati? siamo arrivati? siamo arrivati? siamo arrivati?"

PACIFIC RIM [Recensione]

Dopo un prologo eccellente e che scorre via in un incastro di immagini e didascalie intelligente, il film entra nel vivo.

La minaccia che scuote la terra sono i Kaiju, alieni che giungono da un portale inter dimensionale nell'oceano. Per combatterli vengono studiati e costruiti dalle menti più brillanti del globo dei Robot giganti, gli Jagaer (cacciatori in tedesco), pilotati da due ranger, soldati con un collegamento neurale che mescolando i loro ricordi in un "drift" riescono ad animare questi colossi.

La pellicola non si limita ad essere un grande giocattolone; a quanto pare non ha nemmeno avuto gli stessi costi di produzione, esorbitanti, di un Transformers. Ma ha un corpo, un'anima, ti fa provare emozioni. Non di quelle necessarie e quasi obbligate delle solite sceneggiature da blockbuster, qui si prova empatia per la distruzione dei robot, ad esempio. Ci si gasa, si salta, si combatte insieme a loro. Come quando da bambino mimi le gestualità dei robot giganti contro i loro acerrimi nemici: Zabi, l'imperatore delle tenebre, gli Angeli.
Qualcosa che finalmente funziona nella plausibilità creata. I dettagli fanno la differenza; e così potrete vedere graffi, scintillii, leggi della fisica rispettate nella loro verosimiglianza da film. È calibrato, ben strutturato ed ha un ritmo da tachicardia.
Non si nutre di uno script innovativo, sarebbe stato un po' stupido pensare il contrario. Ma la realizzazione degli stereotipi è divertente. Ha quel grottesco e quella suggestione di HellBoy II, del Labirinto del Fauno (capolavoro del regista), che immerge lo spettatore nella magica visionarietà del regista.  

Guillermo Del Toro si mostra un persona di grande cultura e raffinatezza. Prende per mano il mito giapponese, lo colora della sua visione artistica e lo lancia nel suo mondo: quello occidentale non americano, che, attenzione, è molto diverso. Non ha alcun imperialismo e presunzione di imporre e depauperare della filosofia orientale del mondo dei Mecha e dei real robot. 
Perchè è la sua infanzia, la sua crescita, il suo più grande omaggio. Il robot, si vede, lo ha coccolato.
E nessun bambino vorrebbe mai distruggere chi lo ha protetto, ammaccarlo per uno scontro con delle micro machine forse, ma questo è un altro discorso. 
Il reparto tecnico è mostruoso. I concept sono validi, più che validi, e disegnati con i più simpatici clichè; potrete notare la diversità tra quelli della squadra giapponese, quelli russi a quelli americani e non solo, ci sono anche gli australiani. I combattimenti, poi, risultano essere emozionati, curati nei minimi particolari e con scene che avranno modo di insegnare ed ispirare i lavori successivi. 
La colonna sonora è splendida, riesce ad immergerti nella scena (ascoltatela su Spotify). 

Perchè si crei un mito ci vuole la consapevolezza del mito stesso. Guerre Stellari lo è perchè ha imposto la sua visione d'insieme, mescolando e superando la distinzione di genere, e ha dettato legge sulla fantascienza (ma non solo, vedi: Toy Story 2, ad esempio) per gli anni, i decenni successivi e chissà fin quanto potrà continuare. Ma per farlo ha preso atto della sua portata, del mondo che stava cambiando, con un modo autoreferenziale di mettere su scena. Come se già lo sapesse, prima ancora di essere visionato. Pacific Rim è stato paragonato a Star Wars. E con questo dato. Ma, per me, non può esserlo: perchè parte da uno scenario già precostituito. Non dico che non influenzerà ma non lo farà da mito; da omaggio, da prodotto di nicchia, sì, però.

Come quando si scelgono gli amici con cui sfogarsi e ridere e piangere.
E scusatemi se è poco.

marcodemitri®




giovedì 4 luglio 2013

Dexter S8EP01 [Recensione Spoiler Allert]


- Qui Dexter cerca di suicidarsi dopo aver dato l'ok per l'ultima stagione -


Dov'eravamo rimasti?

Deb, la sorella fine di Dexter, uccide LaGuerta per proteggere l'identità del fratello.
Non c'è altro da sapere, nient'altro.

E nel primo episodio di questa ottava stagione, visibilmente provata e con le occhiaie come il nostro caro amico Dex, cosa avresti voluto sapere se non come si siano svolti gli eventi subito dopo il "fattaccio" della season finale precendente?

- Beh, sì..

- Ok, ti racconto invece come Dex e Deb adesso vivano separati. Come Harrison sia diventato un ometto e come la sua nanny se la sbatta il granitico e dal cuore d'oro - aka un po' tonto - Quinn.

- Ma.. come ha fatto Deb a far passare inosservato l'omicidio di LaGuerta e come se l'è cavata?

- Il Time Skip è una cosa molto bella perchè ti consente di saltare punti incresciosi della trama e che sinceramente sono troppo difficili da spiegare, come Lindelof insegna

- Ah, quindi Deb ora sta bene?

- No, convive con un rapinatore da quattro soldi, si fa di cocaina e fa tanti [censured].

- E Dex?

- A parte qualche momento di ira perchè Harrison, come tutti i bambini a quell'età, è una rottura di coglioni, si è rotto il cazzo anche lui di recitare.

- Ma almeno ci sono personaggi nuovi?

- Giusto tre potenziali villain: una studiosa di neuropsichiatria che a quanto pare conosce Dex e che è stata giusto inserita nella trama per risolvere qualche storyline secondaria lasciata in sospeso durante questi otto anni, il solito serial kiler di turno che infilza cervelli stavolta e un sicario.

- Perfetto, lo droppo allora?

- No, dai, ci sarà da divertirsi, come ogni anno.


A RIPETIZIONE





SURPRISE MOTHERFUCKA!



marcodemitri®




martedì 2 luglio 2013

World War Z [Recensione prima di aver letto il libro]

Attenzione: questa recensione è stata scritta prima di leggere l'omonimo libro da cui è tratto il film. Verrà poi postata una seconda subito dopo la lettura.
Stay Tuned, quindi. 



1) ZOMBIE MOVIE;
 
Partiamo da un presupposto chiaro e onesto: reputo gli zombie le creature cinematografiche più brutte mai create. Riconosco la loro importanza nella storia del cinema horror e la loro attinenza alla realtà oggi più che mai, ma non li reputo affascinanti. Per niente. E le uniche due pellicole sull'argomento che ho apprezzato sono state La Notte dei Morti Viventi di George A. Romero e Zombi II di Lucio Fulci. Per il resto è quasi sempre materiale già visto che inciampa in una serializzazione giusta per il marketing ma disonesta per il pubblico; perchè il filone degli zombie rappresenta ormai una miniera d'oro e una uscita di sicurezza per un cinema sempre più specializzato in ricerche di mercato. 

2) DISASTER MOVIE;

Pellicole dalla qualità altalenate che anticipano un futuro catastrofico. Uno dei più grandi apripista del genere è stato Hitchcock con Gli Uccelli mentre oggi il maggiore esponente del genere è Emmerich; un abituè della distruzione di New York - peggio persino di Bin Laden - e dio ce ne scampi. 

3) IDEA ORIGINALE;

L'idea alla base di WWZ è trata da un romanzo brillante scritto dal figlio di Mel Brooks. L'originalità della narrativa è la tecnica usata e cioè quella dell'intervista. La storia prende vita grazie ad un collage di pareri e discussioni di personaggi che hanno vissuto in prima persona la guerra totale contro gli zombie. 
Libro non solo innovativo ma interessante, anche. 

4) Brad Pitt attore - serio; 

Che non è bravo quanto quello cazzone ma ci piace lo stesso. 

= WORLD WAR Z = SOLDI.

Proponendo una nuova chiave di lettura di un genere saturo e noleggiando da un romanzo l'idea dell'elemento orrorifico, i presupposti per un buon blockbuster sono stati rispettati. 
Ma ne è valsa la pena? Sì, se non ci fossero stati altri due elementi nel conteggio. 

4) Damon Lindelof;

La sceneggiatura tratta dal romanzo è stata scritta a sei mani: Drew Goddard e Matthew Micahel Carnahan e il signore che da il titolo alla didascalia. Ora, che un film di questo tipo non debba avere una scrittura perfetta è normale e posso sorvolare su questo, ma non dev'essere necessariamente stupida. Nel senso che non dovrebbe rendere lo spettatore un inetto: e come?
Attraverso trovate che trasformano in uno scempio nel finale il buon sviluppo del film. 
Tipo: deus ex machina ridicole per la caratterizzazione che si è voluta dare alla pellicola. 

5) Brad Pitt personaggio;

Come attore funziona e fa un lavoro discreto nonostante i suoi capelli da nostalgico degli anni '90. 
Ma il personaggio che interpreta, non è colpa sua, è un McGyver dei noialtri trasformato ad hoc a risolutore finale. Lancia una bomba in un aereo, combatte orde di mostri, riesce a portare sfiga persino a Gerusalemme, e beve una pepsi per bullarsi della sua illuminazione finale degna del miglior Dott. House. 
"Che uomo, Fabio" direbbe Bergomi. 

Ed infatti il prodotto è stato calibrato molto bene all'inizio attraverso una repentina immersione dello spettatore nell'orrore; il problema è che una volta entrato, poi, è stato un susseguirsi di viaggi da nazione in nazione veloci e sommari. Il tutto funzionale ad una finta etica del film di dimostrare come non siano solo gli USA i principali attori del bene e del male nel mondo. Ma anche in questo caso, la pellicola soffre di quei caratteristici luoghi comuni occidentali: la pandemia proviene dall'oriente, ad esempio. 
A legare il tutto la regia di Marc Forster riabilitato dopo la faida lanciata sulla sua testa dai fan di James Bond dopo l'orrendo Quantum of Solace; una direzione ipercinetica e a volte confusa, come è giusto che sia. Gli effetti speciali soffrono di un disorientamento della telecamera; ben riusciti invece i make up forse un po' meno le comparse, che sembrano malati di Parkinson. 

Come ho già accennato il film inizia bene, si svolge discretamente per poi fallire nel finale. 
O meglio perdere quella bella carica emotiva regalataci nella prima parte. 
Perchè una pellicola che scuote lo spettatore con una lavorazione visiva carica di tensione, ansia e angoscia non può lasciarsi sfuggire in una rivelazione finale ridicola e che trasforma il tutto in un action movie di poca intelligenza. 

Peccato perchè alla CocaCola ho sempre preferito la Pepsi. 

marcodemitri®

lunedì 1 luglio 2013

Dragonero e Long Wei [Recensione breve #1]

Dunque sarà breve e conciso perchè non c'è tempo da perdere e forse ne avrete già perso assai.
Sono usciti da ormai un mese i #1 di due nuove storie agli antipodi sì, ma italiane. 

- Dragonero

Testi di Luca Enoch e Stefano Vietti.
Disegni di Giuseppe Matteoni.
Sergio Bonelli Editore.





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Rimando QUI per il blog sul personaggio. (Primo esperimento di interazione sul web di Sergio Bonelli)

- Long Wei

Da un'idea di Roberto Recchioni e Enzo Marino
Edizione Aurea.



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La prima è una di quelle saghe fantasy che sembrano, e lo sono secondo me, destinate a creare un nuovo filone nel circuito fumettistico italiano; una narrativa suggestiva e ben scritta, disegnata tra l'altro con maturità.

La seconda è figlia di una cultura a noi poco affine, o meglio poco conosciuta: quella dell'action delle arti marziali anni '70. Long Wei è un nome semplice e immediato che focalizza senza fronzoli il tema principale: la Cina. Ma la storia, che narra le gesta di un guerriero solitario, è ambientata a Milano.
Ricapitolando: tanta azione ben calibrata, uno humor pungente e, finalmente, qualcosa di esplosivo. 

Detto questo cercate di recuperare entrambe e, dal momento che qualcosa nell'immaginario fumettistico italiano si sta rinnovando, aiutiamolo a crescere.

marcodemitri®