martedì 16 luglio 2013

Chiedi un caffè in ghiaccio e ti dirò di dove sei.




“Il caffè per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l’amore e caldo come l’inferno” disse Bakunin, che la pensava contro ogni logica, come al solito, perché si vede non era mai stato in un bar italiano. 

Facendoci strada tra la folla che ogni mattina si accalca in una caffetteria italiana e scansando i vari caffè macchiato, freddo o caldo, lungo o corto, in tazza bollente o fredda, che farebbero uscir matto anche un Ghandi nel suo periodo più felice, giunge immediatamente all’orecchio e fa alzare il sopracciglio una stravagante richiesta, tipica dell’estate nel Salento.
Io, che lavoro in un bar, ne ho sentite di tutti i colori: caffè Salentino, caffè speciale, caffè ghiacciato, caffè freddo, caffè alle mandorle. Incluso il più odioso e cioè il milanese dalla pronuncia altezzosa che giunge con un: "non so guardi, quella roba lì che fate voi col cubetto di ghiaccio".  Mai nessuno che riesce a trovare la formula esatta per pronunciarlo: caffè in ghiaccio.
Un’accoppiata semplice, veloce, immediata: una di quelle che subito ti rievoca un pezzo di storia della cultura locale.
Ma fermi un momento: cos'è esattamente il caffè in ghiaccio?

La sua storia nasce negli anni '50.
Lecce è una città semi – sconosciuta, portata all'attenzione nazionale da un film neorealista, “Cadaveri Eccellenti”, solo negli anni ’70, ma poi trasformata in Palermo nella post produzione. È un piccolo paese dalla gente serena e tranquilla: il traffico non esiste, l’Apollo è ancora aperto, un piccolo teatro dal nome Carlino fa capolino nella via principale e ancora nessun problema con via Brenta. Sono terminati anche i lavori di smantellamento di una linea tramviaria che attraversava la città: sì, esisteva un tram, no, non era il filobus, sì, i leccesi sono feticisti delle rotaie urbane.
Nella vivacità culturale di quegli anni, nel secondo dopo guerra esattamente, un umile imprenditore dal nome Antonio Quarta, oggi venerato dagli studenti salentini fuori sede nonchè dai caffeinomani che, con la scusa del caffè "dolce", ne approfittano per spararselo in endovena ogni giorno, ha una brillante idea: perchè non una bevanda fresca con il caffè?
Il caffè è una di quei tonici che nella cultura italiana è un obbligo morale, senza scomodare Kant. È geneticamente provato che alla nascita un italiano esclamerà, prima ancora di mamma e papà, “caffè”.
“Quarta” se salentino ma non pugliese, mi raccomando attenti alla geo localizzazione. Tra l’altro così radicato nella cultura del Bel Paese che non berlo con gli amici ti identifica subito come extracomunitario.
Poi c’è il ghiaccio che è tipicamente freddo. E allora il compianto Antonio, li fonde insieme ed ecco qui che nasce il caffè in ghiaccio.
Quello che fanno nel Salento, che nelle città del nord ti connota subito ad un ossimoro perché terrone ed eschimese, che per fartelo ci mettono una tazzina e accanto un bicchiere con un cubetto di ghiaccio, che per molti è la morte, insomma. 

Ma la vendetta, come si sa, va servita fredda e in un bicchiere col caffè a questo punto, e dunque oggi i salentini hanno avuto l’orgogliosa rivincita sui loro acerrimi nemici: la focaccia barese e il bocconotto.
E così quando un turista chiede cosa può visitare al più presto in città, ancor prima dell’anfiteatro romano, dei resti messapici, del barocco illuminato dalla calda luce del sole, un vero leccese, campanilista per eccellenza anche se investito sulle strisce pedonali, risponderà con fierezza:

eh, l’ha mai bevuto il caffè in ghiaccio?

No?

E che campa a fare allora? 

marcodemitri®

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