venerdì 31 gennaio 2014

Red Krokodil [Recensione]

Il cinema indipendente italiano si muove in una direzione interessante con l'opera di Domiziano Cristopharo, un film mefistofelico sull'iperbole di un tossicodipendente. 



Red Krokodil è il nome dalla desomorfina: una droga ottenuta dalla sintesi della codeina, dello iodio e del fosforo rosso. Si è diffusa in Russia a partire dal 2010 come una versione economica dell'eroina con gli effetti, però, disastrosi. A causa delle numerose impurità in essa presenti, produce gravi danni ai tessuti, fino all'intervento medico, che spesso consiste nell'amputazione dell'arto danneggiato. 
In un appartamento in Russia, un uomo (Brock Madson) trascorre la sua non - esistenza sparandosi per endovena il krokodil. Senza alcuna forza di volontà, dose dopo dose, va in contro ad una lenta e dolorosa autodistruzione. 
Madson si muove per tutta la durata nudo, e solo il voice over, con suoni e rumori, a completare l'audio.
La pellicola confezionata a misura dell'unico attore protagonista, sembra un reality. 

Con solo mille euro è stato realizzato questo lungometraggio di forte impatto a ragione di un cinema, quello indipendente, che meriterebbe maggiore spazio.
E così Cristopharo, già all'attivo con ben otto film, sembra essersi ispirato ad una delle tematiche fondamentali del cinema cronomberghiamo: l'espiazione della colpa attraverso il corpo. In un misto di simbologia cristiana, ben fatta l'immagine della corona, del martello e dei chiodi, il protagonista barcolla, brancola nel buio della fredda e spoglio bugigattolo. A rincarare la dose della potenza allucinogena della droga, ci sono delle brevi evasioni mentali dove lo ritroviamo a passeggiare per delle campagne, momenti veloci, flebili che terminano in un attimo lasciando spazio alla terribile realtà. 
Il quadro "L'incubo" di Füssli è una sorta di leitmotiv dove in una altrettanto ben riuscita scena dei passi di un millepiedi, è il grottesco a prevalere sul reale. 
Make up, effetti video e sonori ottimi per una buona regia non sempre lucida; a volte troppo ridondante. 

Tutto ciò non limita la storia perché a Cristopharo non interessa, poi, raccontare il come, a lui interessa il cosa e in una dimensione in cui il tempo è martellante, inesorabile, fino la fine.
Ed è forse nel finale, liberatorio, che si ha la presa di coscienza più forte: non si sfugge alla crudeltà della dimensione terrena. 

QUI il trailer;
QUI il profilo del regista su imdb.

marcodemitri®

giovedì 30 gennaio 2014

Dallas Buyers Club [Recensione]

Direttamente da Leccenews24:

http://www.leccenews24.it/articoli/vetrina/2014/01/30/191865/cinemanews24-oggi-al-cinema-dallas-buyers-club.html

Belli e brutti, pesanti e leggeri, idioti e intelligenti, di film sulle malattie Hollywood ne ha fatti trilioni e sì, pur sempre pochi considerando l'innata capacità umana di ammalarsi e soffrire.
Ma perché una opera incentrata sulla fragilità abbia successo bisogna crearne la giusta fisicità e per questo servono attori particolarmente bravi; pensate a quanto sarebbe imbarazzante mostrare gli stadi di una patologia su un protagonista mal interpretato.
Dallas Buyers Club è perfetto in questo: una rivelazione non per il modo in cui sviluppa la sua storia quanto per la straordinaria interpretazione dei due attori principali, Matthew McConaughey e Jared Leto.
Il primo, formatosi in ruoli da belloccio nelle classiche commediole americane e completamente rinato da tre anni a questa parte - consiglio la visione di "Killer Joe", "Mud" e il recente serial, "True Detective", ma anche il folle "The Paperboy" e il plasticoso "Magic Mike" - , ha voluto tentare l'impossibile per Dallas Buyers Club persino dopo centotrentasette rifiuti; il secondo, invece, è il leader dei 30 seconds to Mars ed è già comparso in cult movie quali "Fight Club" e "American Psycho".



Nello specifico.
Partendo dal tema dell'omofobia e della scarsa informazione in merito che ha consentito al virus dell'aids di diffondersi, il lungometraggio, ambientato tra le lande desertiche del Texas, sviluppa la storia principale: le speculazioni economiche delle industrie farmaceutiche ai danni dei cittadini.
Negli anni '80, dopo una vita tra rodei, alcol, droga e fornicazione, Ron Woodroof (Matthew McConaughey), elettricista e bifolco cowboy, scopre di essere sieropositivo e di avere un mese di vita. Costretto a fuggire da Dallas perché allontanato dai suoi stessi amici omofobi, si pensava la malattia si contraesse solo tra gay, Ron inizia un viaggio alla ricerche di cure alternative in Messico. Incontrerà l'efebico Rayon (Jared Leto), un trans, con il quale instaura un'amicizia impossibile. Il duo darà il via ad un'attività destinata a lasciare un segno nel campo farmacologico: la distribuzione di medicinali non approvati dall'FDA (food and drugs) ma che, secondo i risultati, allungavano, migliorandola, la vita dei sieropositivi.
Morirà dopo sette anni.

Non è un film sulla malattia, questo. Non si riduce a semplici moralismi sulle precauzioni da seguire, no, nulla di tutto questo. È una visione delicata e sobria che non lascia inermi. Una commovente storia di una lotta, tra le dolorose e difficili conseguenze, di un uomo contro un sistema spietato. Tratto da una storia vera, ha molto di Erin Brockovich e poco di Philadelphia tanto per intenderci, ha il tocco di un pregevole racconto d'amicizia e la violenza del mondo in cui si approfondisce. Gli stessi difetti sono dettate dal voler alleggerire l'enorme peso del racconto.
Ma è con la regia di Jean-Marc Vallée funzionale al tema trattato che Dallas Buyers Club riesce a far emergere il talento spaventoso dei due attori; entrambi magri, ossuti, dai visi pallidi e dagli occhi malinconici, dalla voce modificata dagli accenti del sud, i quali entrano, prepotentemente, nel profondo, lasciando una malinconica lezione di vita.

Sulla sua spietata ironia.

marcodemitri®

sabato 25 gennaio 2014

I 10 clienti che trasformano il commesso in un mass murder.




Chi lavora con le persone, almeno una volta nella sua carriera, avrà avuto modo di scontrarsi con diverse tipologie di cliente fastidiosi e difficili da accontentare.
Ma tutto sommato: divertenti.

10. L'ANSIOSO.


"Dai un caffè"
"Come?"
"Prendo un caffè, dai su"
"Ok, ottanta"
"Ecco a lei, sì, dai. mi sbrigo che *

*ho la macchina fuori posto
*devo andare a lavorare
*ho i bambini in macchina
*ho il cane in macchina
*ho la carne in macchina
*È TARDI È TARDI CHI VUOLE DEL TE'?"

09. IL PREMUROSO.



"Allora sono 80 centesimi"
"Ah sì, senti ti do 60 centesimi per non farti cambiare 50 euro"
Con voce fantozziana: "grazie, com'è umano lei"

Non credo ci sia da aggiungere altro.

08. L'ANTIPOLITICO 


"TUTTI DEVONO SAPERE QUELLO CHE IL GOVERNO STA FACENDO. TUTTIIIIII!"

Di solito irrompe alle 7 del mattino, quando cerchi di alzare più le palpebre che la saracinesca del locale. Attende nell'ombra della tendina abbassata, scrutando attentamente dalla vetrina se c'è qualcuno da SVEGLIA!1re. In effetti, se ci pensate bene, se urlasse nel locale vuoto non avrebbe lo stesso acchito ed è per questo che entra imbestialito quando ci sono quel tot di persone che gli consentono di svegliare le coscienze.
"Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci", sì, perchè di solito non prende nulla.

07. IL SALUTISTA.

"Avete del latte di scafafafgasgdgsgsgt?"
"Come?"
"Il latte di scafafafgasgdgsgsgt, quello con il - 0, 000001 di grassi munto da mucche che a Beethoven e Sinatra preferiscono l'insalata?"
"No, mi spiace, solo latte delle terre dei fuochi"
"Che vergogna, in un posto del genere"

Lo ammetto: è la categoria di cliente più blasonato per un locale gastronomico.
Di solito veste firmato, con la puzza sotto al naso.
Ama le diete ipocaloriche, praticamente mangia le ombre, e si stizzisce se non trova quello che cerca. Pensa di avere ragione a seguire una dieta salutista e guarda i poveretti con le arterie intasate di grasso trans come dei futuri abitanti dell'inferno.
Se notate bene ha intrapreso una battaglia contro le multinazionali dello zucchero subito dopo la puntata di Report sui dolcificanti. Ti chiede se hai il cioccolato al 99 per cento, il latte di soya, lo zucchero di canna grezzo, l'acqua naturale delle montagne, il caffè d'orzo e se ascolta le parole "panna montata".
Argh.
Meglio non continuare.

06. QUELLO DEL BAGNO.

Entra.
Non guarda in faccia nessuno.
Va in bagno.
Se ne va.


05. QUELLO DEL BAGNO E DELL'ACQUA.

Entra.
Non guarda in faccia nessuno.
Va in bagno.
Poi chiede un bicchiere d'acqua.
Beve.
Se ne va.

04. QUELLO DEL BAGNO E DELL'ACQUA E DEL GIORNALE. 

Entra.
Non guarda in faccia nessuno.
Va in bagno.
Poi chiede un bicchiere d'acqua.
Beve.
Poi da uno sguardo al giornale.
Faccia interessata per qualche articolo, di solito di sport.
Se ne va.

03. PAGO IO, PAGO IO.

Chi non si è mai trovato davanti la classica scena del "PAGO IO, PAGO NON TI PRENDERE SOLDI DA LUI EH?!". Simpatica per chi non è alla cassa. Uno pensa: toh, il sud è bello perché la gente tiene all'amicizia; è bello quando un amico ti trova in un bar e la prima cosa che fa è chiederti cosa prendi.
Sì. sicuramente.
Non è bella, però, quando tu sei alla cassa.
Non sai cosa fare.
Non conosci nessuno dei due e vuoi solo prendere i soldi per andare avanti con il tuo lavoro.
Ed è come se fossi nel finale di un videogioco.
Il tempo si ferma e una voce dall'alto urla:
"Allora chi NON scegli?"

CLIENTE A: ti incolperà per non aver offerto il caffè all'amico e porterai per sempre il fardello di questa infelice decisione, che ti farà pesare ogni volta tornerà da te.
Se ci tornerà, ovviamente.

CLIENTE B: ti sgriderà davanti a tutti perché pensi solo ai soldi.

02. LA COPPIETTA.

"Amore cosa prendi?"
"Non lo so. Decidi tu, amore mio."
"Ma amore vuoi un cioccolatino dolce come te?"
"Ihihi che carino, dai un caffè."
"No, a me non va il caffè. Facciamo un cappuccino?"
"Amore il latte non mi piace. Mi gonfia"
"Scusa amore l'avevo dimenticato. Vabe dai, prendiamo un cioccolatino e lo dividiamo"
"Siiii. ihihih"
"Quant'è?"

Le due entità che compongono "la coppietta", in realtà, convergono in una sola mente. La loro sete d'amore brama di voler condividere qualsiasi momento insieme e trasformare ogni pensiero in uno solo. Sono tra i clienti più pericolosi perché trasformano cinque minuti di indecisione in una sfavillante e dolcissima attesa per loro due; dove tu non esisti e anzi, la faccia spazientita è per loro un vanto: non comprendi il loro amore. E, come Renzo e Lucia ingannarono il povero Don Abbondio con un matrimonio falso, loro faranno così con te.

"Dai, ho cambiato idea: ci dividiamo una cioccolata calda?"
"Ottima idea amore mio!"
*bacetto*

Tu, con lo scontrino in mano già fatto ne dovrai battere un altro e non fari altro che gridare con un sorriso di convenienza:

NACHO VIDAL INVOCO TE.

01. IL TUTTOLOGO.



È quello che ha un modo tutto suo di predersi confidenza ma guai se gli fai notare 'chi ti conosce?'.
Conosce qualsiasi posto in città e non risparmia critiche un po' qua e un po' la.
Con sorriso e sguardo basso, esordisce in una conversazione con un 'mah, non sono d'accordo' mentre la gente si guarda attorno per capire chi ha parlato.
Il suo forte sono i turisti, però.
Se infatti capta una domanda del tipo 'ma pechè *prodottoacaso* lo fate cosí qui?', la missione della giornata sarà rispondere per primo.

es.
Un turista ti rivolge una domanda: perché fate questo prodotto così?

Tu: *tra i gangli neurali parte l'impulso nervoso, i muscoli facciali si muovono, la bocca si apre*

Troppo tardi, il cliente tuttologo, anche se non interpellato: ha già risposto.

Tu: come? cosa? chi è stato?

Tranquilli: arriverà il momento in cui si stancherà anche di voi e finirete tra i suoi discorsi in un altro posto, tra altra gente, che ancora una volta si chiederà perchè sta parlando con quel tizio.
In fin dei conti avete torto: il cliente tuttologo ha sempre ragione e conosce tutto del tuo lavoro anche se non ha mai lavorato in vita sua.

marcodemitri®



venerdì 24 gennaio 2014

Wolf of Wall Street [Recensione]

Chiariamoci subito prima di iniziare: recensire un film di Martin Scorsese è un lavoro delicato perché entrano in gioco innumerevoli fattori.
In primis la volontà di voler razionalizzare l'euforia provata mentre la pellicola scorre, qualcosa pari a quel momento in cui, da ubriachi, si cerca di dare un tono di compostezza davanti ai genitori. Ed è questo il cinema di Scorsese: un trip volutamente esagerato di persone dalla dubbia moralità ma che, in fin dei conti, non sono altro che esseri umani in un mondo dove "tutti i nodi vengono al pettine".


Che cos'è The Wolf of Wall Street?
È la vita di Jordan Belfort, un broker di New York che scelse la via più semplice per far soldi: fregare i suoi clienti.
Ma la storia del lupo di Wall Street non è così semplice.
Come si può immaginare, Scorsese non si limita ad una mera riproposizione della biografia.
Capito l'errore fatto con The Aviator, si cimenta in un'opera forte, potente e volutamente sopra le righe per mettere in scena, ancora una volta, le gesta amorali di un uomo che voleva "diventare ricco".

"Come venderesti questa penna?"
C'è da distinguere due parti nella pellicola: una prima volutamente drogata, folle veloce: assurda; e una più lenta, ragionata: dilatata.
La sceneggiatura affidata al veterano de I Soprano, Terence Winter, e basata sul libro scrito da Belfort in persona, inizia col botto.
Usando l'espediente del flashforward, cioè rappresentando un momento del futuro, Jordan si presenta agli spettatori rompendo la quarta parete.
E lo fa con una violenza espositiva che non può lasciare inermi. A rincarare la dose, potente come un droga sparata su per le narici, le immagini forti e il montaggio frenetico.
Chi è Jordan Belfort?
A ventidue anni: un signor nessuno.
Ancora fresco di laurea, con una moglie e una valigetta di buone speranze, entra a Wall Street dopo essersi fatto notare per delle vendite particolarmente brillanti. Lui è emozionato perché sembrerebbe l'inizio di una carriera scintillante e viene subito affiancato da due colleghi, i suoi istruttori.
Che tutto sono fuorché delle brave persone.
In particolare si fa notare per l'ottima interpretazione ma anche per la solita bravura in questi ruoli borderline (vedi anche: Killer Joe), Matthew McConaughey, Mark Hanna nel film.
Un tizio che resterà impresso per gli innumerevoli consigli da (non) seguire se si vuole vivere a lungo: masturbazione, pugni sul petto e tanto menefreghismo per diventare un lupo, appunto, degli affari.
Jordan è estasiato e impaurito dalla frenesia e dalla lordura di quell'anticamera dell'inferno ma il tutto non dura a lungo perché nell'ottobre del 1987, il famoso lunedì nero, la borsa cade giù e lui si ritrova in mezzo ad una strada.
Non si arrende e attraverso l'indiscutibile arte oratoria, il modo convincente di instillare fiducia e l'abilità a creare un gruppo di lavoro costruisce, quasi dal nulla, una piccola azienda di brockeraggio: Stratton Oakmont.
È la svolta.
Usando il sistema basato sullo schema Ponzi vende ai ricchi azioni insignificanti gonfiandone a dismisura il prezzo.
Rubava ai ricchi per dare a se stesso.
Decide di seguire gli eccessi e lascia la moglie, dice addio alla sua vecchia vita e si butta in una nuova.
Soldi a palate, donne, alcool e droga - svilupperà una dipendenza dal Quaaludes molto famosa in quegli anni - sono i suoi nuovi motivatori.
Affiancato da Donnie Azoff, Jonah Hill, per il quale la candidatura all'oscar è il minimo, da un eccesso all'altro mentre, nel profondo, la devastazione lo priverà del lato più umano: l'empatia.
L'adrenalina scorre nello spettatore che spinto dalla devastazione, dalla frenesia incontrollabile di quegli uomini, non potrà altro che fare il tifo per il protagonista.

D'altronde.

"Mi chiamo Jordan Belfort. L'anno in cui ho compiuto 26 anni ho guadagnato 49 milioni di dollari, il che mi ha fatto molto incazzare perchè con altri 3 arrivavo a un milione a settimana."

Ma fermi un momento.
Stop.
Pausa.


Senza darne molto peso entra in gioco uno zelante agente dell'FBI.

Da lì in poi parte la seconda storia del film.
Che culminerà in una parabola discendente, senza alcuna possibilità di redenzione.
E lì resti fregato.
E non farai altro che pentirti per aver tifato per il bad guy, il villain: il cattivo.


Dal punto di vista tecnico la pellicola è un orgia.
Il montaggio senza controllo da togliere il fiato, i lunghi monologhi centrali per comprendere i personaggi assurdi - il primo tra Jordan e la squadra di "sfigati" è da antologia -, il voice over (la voce fuori campo) del protagonista che racconta cosa sta succedendo, la rottura della quarta parete, la colonna sonora e poi quell'infallibile conduzione degli attori, come solo Scorsese sa fare, tutti questi elementi, miscelati, regalano un tocco di pura maestria.
Di puro talento artistico.
Ed è così che si riconoscono i capolavori, le opere senza tempo.
E se non vi bastasse: Leonardo di Caprio recita il ruolo della vita.
Dategli l'oscar, perfavore.


Ma vi ricordate Quei bravi ragazzi?
Ecco, Scorsese non se l'è dimenticato.
Perché Wolf of Wall Street è Quei Bravi Ragazzi senza italo americani e mafiosi - se li intendiamo con fucili a canne mozze e borsellini - . Lo ricorda persino la fotografia dell'esperto Rodrigo Prieto, lo stesso di Argo e Wall Street di Oliver Stone.
In un amplesso di cinema ha deciso di miscelare gli elementi caratteristici della sua filmografia, il suo modus operandi in un prodotto unico nel genere.

Una carriera mostruosa quella del cineasta dagli occhiali neri e dalle origini italiane portata all'attenzione da Mean Streets e continuata con quel folle Fuori Orario e ispirata dal Neoralismo italiano e dalla Nouvelle Vague francese, primi tra tutti De Sica e Godard.
Affascinato da personaggi borderline, quelli che vogliono tutto dalla vita e se ne infischiano di privarsi delle emozioni umane.
Quelli che finiscono, il più delle volte, a dover elemosinare una assoluzione per i peccati commessi.
Henry Hill, "Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster", costretto a dover vendere il suo nome e quello degli amici in cambio di uno sconto di pena.
O Travis Bickle, con l'intenzione di voler ripulire la metropoli dal peccato.
"Il mondo vero non faceva per me" afferma con presunzione Jordan a metà del film.
Macchette schakesperiane in cerca di redenzione, che non accettano di vivere come tutti gli altri e fanno di tutto affinché l'ambiente sia un loro prodotto.
Ma poi giunge qualcuno moralmente integro a ricordarli dell'inferno e della noia della quotidianità.
Fatta di tram e palle sudate.
Come quella dell'ispettore Patrick Denham, Kyle Chandler, l'ispettore dell'FBI che alla fine, lo riporta alla vita vera.

Arrestandolo.

marcodemitri®


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mercoledì 22 gennaio 2014

La Santa [Recensione]


Ne hanno parlato in pochi, pochissimi, eppure La Santa, il nuovo film di Cosimo Alemà presentato al festival di Roma, è un thriller interessante dalla tinte noir e interamente ambientato tra le campagne salentine.




La storia è semplice: quattro banditi, un po' maldestri, si recano in un paesino del sud italia per rubare una statua custodita nella chiesa del paese.
Il motivo non è ben specificato ma, a quanto pare, è il vero e proprio MacGuffin della pellicola.
Il furto, però, non va secondo i piani e i protagonisti, già individuati come "forestieri" diventano l'obiettivo dei paesani che, armati dì fucili, mazze e pietre iniziano una caccia all'uomo per stanarli e riportare l'ordine.
Il racconto del cineasta romano è principalmente una critica al clima di oscurantismo che imperversa ancora determinate realtà meridionali. È emblematica la rappresentazioni degli abitanti, guerrafondai e completamente accecati dall'odio per il furto di una statua. Ma quello che più incuriosisce e colpisce lo spettatore è la descrizione dei vizi degli abitati, che escono fuori solo nell'ombra e quando nessuno può vedere. Che sia l'amante della moglie o l'accenno a pratiche sessuali perverse, il tutto sembra essere puntato a smascherare l'ipocrisia della buona fede cattolica. Gli stessi cattolici che sfogano il loro odio davanti la prole.
Il cast è valido. Dalla sensuale Lidia Vitale in veste di femme fatale, al feroce Massimiliano Gallo, passando per l'astro nascente Gianluca di Gennaro e il più navigato Francesco Siciliano.
Cosimo Alemà si spinge oltre l'ottimo lavoro fatto con Un Giorno Senza Fine e mette in ordine l'esperienza maturata con i videoclip.
La Santa, che in gergo mafioso è anche l'organizzazione mafiosa, è una pellicola grottesca, che non si vergogna di mostrare il suo lato più surreale, e sfoggia, come un vanto, le influenze del cinema di Fulci - non si sevizia un paperino in primis - .
Le uniche pecche le dimostra proprio quando cerca di uscire fuori dagli schemi. È un ritmo troppo veloce nella seconda parte e si disperde in una idea di storia forte troppo complessa per l'impostazione iniziale.
Ma tutto sommato è valido.
Perchè in novanta minuti si riporta molto bene la sensazione di chi si avventura in questi paesi sperduti nel tempo, dove ci si sente alienati tra le ombre degli ulivi e l'odore di pasta fresca.

Cercate di recuperarlo che ne vale la pena.


marcodemitri®

giovedì 9 gennaio 2014

Capitolo [...] : Maestro Pino, Barbiere.

Non ricordo esattamente l'anno e a dire il vero nemmeno l'occasione del momento in cui conobbi Maestro Pino.
Ma il mio primo pensiero è ancora impresso per il suo stile inconfondibile.
Aveva eleganza, raffinatezza e un modo di fare da vero galantuomo.
E io dalla cassa del bar sua tappa fissa, non potevo che guardarlo con occhi d'ammirazione.
Dalla statura piccola ma dal carattere forte, era solito offrire il caffè a tutti e non c'era verso di fargli cambiare idea.
"Marco, nu te permettere cu te pigghi sordi!"
Mi strillava, e con un sorriso gli facevo capire di aver ricevuto l'ordine.
Mostrava meno anni di quanti ne aveva e chiunque lo incrociasse, non poteva far altro che notare il suo dinamismo, il suo essere ginnico: la sua voglia di vivere.
Ha fatto storia a Lecce con il suo innovativo salone per taglio capelli ed estetista.
Un personaggio storico, insomma, che ha visto le chiome dei più illustri cittadini e non.
Due euro e sessanta era il prezzo fisso ogni giorno, espressino, caffè normale e decaffeinato per la signorina Antonietta e Marco, le colonne dello storico locale.
Se n'è andato via all'improvviso, senza alcun preavviso, ma voglio continuare a ricordarlo con quell'occhialino rosso, eccentrico, che da qualche mese aveva deciso di indossare; per lasciare un segno, come solo lui sapeva fare.
E forse non rammentare quel momento esatto in cui lo conobbi è un bene, perchè il suo ricordo lo voglio impresso in un momento della mia vita e della sua sconosciuto, sospeso nel tempo.

Come per quegli attori immortali che continuano a vivere nel ricordo dei loro ammiratori.

Addio Maestro Pino.


marcodemitri®


mercoledì 8 gennaio 2014

The Juliette Society di Sasha Grey [Recensione]

Brillante, disinibita ma per alcuni solo un prodotto del marketing, la discussa Sasha Grey imbocca la strada della scrittura con The Juliette Society, suo esordio letterario.



"Prima di cominciare chiariamoci.
[...]
Non scandalizzatevi di quanto leggerete in queste pagine".

Ora, parlare di Marina Ann Hantzis, così all'anagrafe, fa venire un rossore da vergogna in viso perchè nell'immaginario collettivo il suo è un nome collegato all'ambiente del porno; una ex pornostar che a ventiduenni ha già un curriculum lungo quanto quello di Jenna Jamenson.

L'interesse del lettore comune verso la sua narrativa è sicuramente dovuto alla fama del personaggio Sasha Grey ma c'è anche un motivo ben più profondo che potrebbe invitare all'acquisto ed è il desiderio di conoscere come abbia messo in pratica le suggestioni prodotte dalla carriera da pornostar.

Edito da Rizzoli per la collana Controtempo, il romanzo racconta di Catherine, bella e sensuale, e della scoperta di un sesso violento, sadico e surreale; ad accompagnarla come il bianco coniglio in Alice nel Paese delle Meraviglie, la libidinosa Anna, amica fidata. Il rapporto tra entrambe è paritetico e a metà lettura si ha la sensazione di un personaggio solo invece di due, in una ambivalenza, sono opposti complementari. In questo è stato reso complice sicuramente l'influenza della filosofia del doppio di Fight Club, libro preferito dall'autrice come da lei più volte dichiarato.

Sebbene non si tratta di una lettura impegnativa, la sua è una opera contornata da una miriade di citazioni e riferimenti cinematografici e con una attenta e interessante descrizione dell'atto sessuale.
È un ritratto crudo con piccole estensioni romantiche quello descritto.

In The Juliette Society, difatti, confluiscono principalmente le influenze del Marchese de Sade, evidenti fin dal titolo. Non solo. Sono numerosi i richiami al cinema di Orson Welles, Alfred Hitchcock, Jean - Luc Godard ma anche Bunuel e Stanley Kubrick. In questo modo l'autrice punta a crerare un doppio binario in cui la scena descritta è proiettata anche visivamente nella mente del lettore, in un tentativo alternativo di renderlo partecipare attivamente. Inoltre è consapevole di non avere la verve di Bret Easton Ellis ma riesce a sfruttare il fascino piccante del suo personaggio e andare oltre il semplicistico concetto del racconto scandalo.
Intraprende così una esplorazione della femminilità, in tutte le sfaccettature più riprovevoli, senza timore di risultare irrispettosa, la giovane autrice mette in scena un racconto personale, intimo, con un contorno di personaggi ben caratterizzati nelle loro peculiarità. Il ritmo è dettato dalla routine di Catherine ed è ben costruito; si ha la sensazione di vestirne completamente i panni in giro per il suo micromondo sino l'entrata nella Juliett Society.
Che non è dei "[...] Massoni, del club Bilderbergm del Bohemien nè di tutte quelle altre denominazioni rifritte dietro le quali si nascondono gli interessi commerciali di ingenue combriccole da teoria della cospirazione". Strizza l'occhio quindi all'immagine evocata dai teorici dei complotti e da quel substrato pop che desta particolare fermento tra gli internauti.

L'erotismo del romanzo suscita l'immediato confronto con Cinquanta Sfumature di Grigio, scongiurato da una ricerca stilistica ed espositiva volta a far esplodere l'apparente banale pornografia, portando avanti l'idea di un sesso in cui la dominazione è più di un elemento intrinseco dell'amore: è conquista della libertà sessuale, è il volto autentico della femminilità nascosto dal perbenismo e dal timore di infrangere la dura legge della morale comune.

Nell'insieme una brillante prova quella della Grey, che le permette di reinventarsi con stile e allontanare il cliché del prodotto di successo perchè di un personaggio famoso.

marcodemitri®