venerdì 31 gennaio 2014

Red Krokodil [Recensione]

Il cinema indipendente italiano si muove in una direzione interessante con l'opera di Domiziano Cristopharo, un film mefistofelico sull'iperbole di un tossicodipendente. 



Red Krokodil è il nome dalla desomorfina: una droga ottenuta dalla sintesi della codeina, dello iodio e del fosforo rosso. Si è diffusa in Russia a partire dal 2010 come una versione economica dell'eroina con gli effetti, però, disastrosi. A causa delle numerose impurità in essa presenti, produce gravi danni ai tessuti, fino all'intervento medico, che spesso consiste nell'amputazione dell'arto danneggiato. 
In un appartamento in Russia, un uomo (Brock Madson) trascorre la sua non - esistenza sparandosi per endovena il krokodil. Senza alcuna forza di volontà, dose dopo dose, va in contro ad una lenta e dolorosa autodistruzione. 
Madson si muove per tutta la durata nudo, e solo il voice over, con suoni e rumori, a completare l'audio.
La pellicola confezionata a misura dell'unico attore protagonista, sembra un reality. 

Con solo mille euro è stato realizzato questo lungometraggio di forte impatto a ragione di un cinema, quello indipendente, che meriterebbe maggiore spazio.
E così Cristopharo, già all'attivo con ben otto film, sembra essersi ispirato ad una delle tematiche fondamentali del cinema cronomberghiamo: l'espiazione della colpa attraverso il corpo. In un misto di simbologia cristiana, ben fatta l'immagine della corona, del martello e dei chiodi, il protagonista barcolla, brancola nel buio della fredda e spoglio bugigattolo. A rincarare la dose della potenza allucinogena della droga, ci sono delle brevi evasioni mentali dove lo ritroviamo a passeggiare per delle campagne, momenti veloci, flebili che terminano in un attimo lasciando spazio alla terribile realtà. 
Il quadro "L'incubo" di Füssli è una sorta di leitmotiv dove in una altrettanto ben riuscita scena dei passi di un millepiedi, è il grottesco a prevalere sul reale. 
Make up, effetti video e sonori ottimi per una buona regia non sempre lucida; a volte troppo ridondante. 

Tutto ciò non limita la storia perché a Cristopharo non interessa, poi, raccontare il come, a lui interessa il cosa e in una dimensione in cui il tempo è martellante, inesorabile, fino la fine.
Ed è forse nel finale, liberatorio, che si ha la presa di coscienza più forte: non si sfugge alla crudeltà della dimensione terrena. 

QUI il trailer;
QUI il profilo del regista su imdb.

marcodemitri®

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