lunedì 2 dicembre 2013

The Canyons [Recensione]

"La gente ha paura di buttarsi nel traffico dell'autostrada a Los Angeles" è l'incipit di Meno di Zero, primo romanzo di Bret Easton Ellis. Nella semplicità del periodo, a fine lettura, "Paura di buttarsi" è il soggetto di una storia borderline: un ritratto generazione pornografico e anaffettivo.



The Canyons non è altro se una sua riproposizione.
Christian (James Deen) è un edonista produttore cinematografico che, per divertimento, filma gli incontri di sesso a tre con la compagna Tara (Lindsay Lohan). Nella città degli angeli, gli equilibri emotivi delle loro vite, tra soldi, sesso e droga, subiranno un duro colpo con l'arrivo di Ryan (Nolan Gerard Funk), un aspirante attore.
E in una spirale di violenza, poi, il triste epilogo.

Un quartetto di personaggi complementari, Christian (manipolatore), Tara (falsa ingenua), Ryan (bello di buone speranze) e Gina (apparentemente innocua), annoiati e tormentati, cercano di stimolare le loro esistenze oltre le loro possibilità, al di la dei limiti.
The Canyons è crudo e non scende a compromessi con la finzione: violenta lo spettatore con dialoghi ed immagini esplicite.
Ellis, per la prima volta sceneggiatore, così ripropone l'Ellis scrittore e non è difficile individuare una somiglianza tra Christian e Patrick Bateman di American Psycho. È, infatti, nella lucida follia del meschino protagonista, nella sua ricerca analettica di infliggere dolore, il modo attraverso il quale la sceneggiatura cerca di costruire il climax.
Con un ritmo che non c'è, purtroppo.
Paul Schrader ce la mette tutta per trasformare le premesse in un piccolo gioiello. Il compito gli si presenta arduo per due motivi: da un parte un gioco di contenuti dal minimalismo poco apprezzabile se non in una narrazione scritta e dall'altra una recitazione amatoriale e superficiale.
Con l'intento di smascherare la crudeltà del mondo della produzione cinematografica, la pellicola è ancorata a soli tre momenti ritmicamente interessanti, non proponendo nulla di nuovo. I tre atti della drammaturgia scenica sono chiusi in una monotona riproposizione dei personaggi con una vacua evoluzione.
Il casting resta solo un'operazione di marketing poco riuscita: James Deen, conosciuto negli ambienti del porno per i ruoli di rough sex e weird, alla prima prova in un film non pornografico e Lindsay Lohan, ex bambina prodigio Disney a ventisette anni ne dimostra il doppio.
Colonna sonora electro indie al servizio di una fotografia aguzza e fredda.

Con un risultato più simile ad un poco elegante vaffanculo, lo scrittore perde il parossismo dei suoi romanzi in cambio di una fredda elaborazione.
Per colpa di una paura di buttarsi in un ambiente che non gli appartiene, forse.

 marcodemitri®

domenica 1 dicembre 2013

Paul Walker [RIP]


Non un grande attore ma una bella presenza, lo voglio ricordare così, Paul Walker, la star di Fast and Furious.

Parte di quel gruppo di personaggi che, a suo modo, ha segnato una epoca; ritagliandosi un posto nell'immaginario collettivo degli action su due ruote.
Sarà ricordato tra vent'anni per uno dei più bei film d'azione di questo decennio: Fast and Furious 5 ed interpretò un ruolo anche in Flags of our fathers di Eastwood per un progetto più maturo.

Con il sorriso e lo sguardo da sbruffone, morto, ironia della sorte, in un incidente stradale.


Qui la mia clip preferita.


marcodemitri®

sabato 30 novembre 2013

La mafia uccide solo d'estate [Recensione]



L'ironia è l'arma più affilata per semplificare la complessità ed è anche lo strumento per mettere da parte rabbia e frustrazione e imprimere un messaggio con il sorriso.
Il sorriso, appunto; cioè la parte più delicata dell'operazione.
Applicarla ad un contesto cinematografico è un'impresa compromettente: Il rischio di risultare saccenti o, al contrario, inconsistenti è molto alto.
"La libertà comincia dall'ironia" scrisse Hugo e saper trattare il male in questi termini è un lavoro che richiede tatto. L'l'ironia è dunque il grimaldello che scardina  il volto serioso della tragedia.

Prendete ora un argomento altrettanto difficile, sentito e forte come la mafia. 
Per una ferita troppo grande per un cancro non ancora debellato, narrare con ironia le sue sfaccettature suscita scandalo ed imbarazzo e si aggiunge un interrogativo: serve ancora filmare storie di mafia?
Secondo Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, sì, e mediante una comicità aguzza e attenta alla riflessione. 

Il primo film dell'ex iena, è una storia d'amore nata tra i banchi di scuola sullo sfondo di un racconto di sangue. 
L'inizio coincide con la nascita del protagonista, Arturo, intorno agli anni '70, momento di particolare fermento per Cosa Nostra. La vita del piccolo si incrocia con quella di boss mafiosi e del loro microcosmo. Ed è così che Diliberto ci mostra gradualmente come la mafia fosse infiltrata in qualsiasi attività umile e quotidiana. Il messaggio è chiaro e diretto: il regista proietta i ricordi della sua infanzia dimostrando come i malavitosi vivessero senza nascondersi, in un intreccio continuo delle loro vite con quelle dei loro compaesani.

 Ambientato in una Palermo solare, la pellicola ha una regia giornalistica, documentaristica molto cara all'autore.
 Le vicende sono raccontate per la prima metà dal punto di vista ingenuo dell'infanzia mentre nella seconda con un tono più serio e maturo, coincidente con la crescita del protagonista.
La costruzione dei personaggi è limitata ai loro gesti e alle loro azioni, senza chiara evoluzione; una scelta per non voler trasformare i buoni in super eroi ma renderli normali nel loro straordinario lavoro.
La ingenuità da opera prima si presentano nell'idea di voler raccontare di mafia senza mostrarlo chiaramente, perchè si perde nell'uso di un tempo fin troppo veloce, senza intervalli ben calibrati.
La pellicola non aggiunge nulla di nuovo a ciò che è stato detto, scritto e proiettato ma le pur ormai ridondati parole sono disposte in un racconto incisivo, dinamico, che rivitalizza l'argomento e lo modernizza per le ultime generazioni.
Per non dimenticare. 

"A Palermo tutti sanno tutto. Io a dieci anni sapevo che in un certo bar si incontravano i mafiosi. Poi col tempo si è scoperto [...] che in quel bar c'erano i raduni di mafia", dice Pif e alla fine è la rabbia velata da un sorriso a ribollire nello spettatore. 

Perché la mafia uccide sempre.
Non solo d'estate.


marcodemitri®


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Da segnalare l'associazione che ha aiutato Pif nella realizzazione del flm: http://www.addiopizzo.org

giovedì 14 novembre 2013

Dodici di Zerocalcare [Recensione]

Da qualche anno sono ritornati di moda gli Zombie e ce li ritroviamo anche in Dodici, ultima fatica di Michele Reich, in arte Zerocalcare. 



Da qualche anno sono ritornati di moda gli Zombie e ce li ritroviamo anche in Dodici, ultima fatica di Michele Reich, in arte Zerocalcare. 

Nella nuova avventura i protagonisti Secco, Calcare, Cinchiale e Katja sono a Rebibia - quartiere di Roma – e fuggono, in una paradossale corsa contro il tempo, dal misterioso arrivo dei i non - morti. 

Un Polpo alla Gola e la Profezia dell'Armadillo hanno permesso di conoscere il marchio di fabbrica dell'autore romano: una costruzione ironica di una visione nostalgica della realtà.
Ma tutto questo potrà funzionare per sempre? 
Sì e no. 
Il repertorio da cui attingere le idee è vasto ma è vero che ha bisogno di una vivacità mentale tale da continuare a rinnovarsi. 
Non tanto nella realizzazione quanto nella messa in scena. 

L'opera soffre nell’attuazione del tempo della narrazione. Pur considerando le premesse che l'autore ha voluto dare alla storia - Rebibia è per Michele il quartiere dove tutto inizia e finisce - ci si trova, alla fine, con l'amaro in bocca di un qualcosa di incompleto. Si tratta, infatti, di un racconto che non ha un inizio né una fine. 
Non solo. C'è confusione tra le tavole e, a volte, si fa fatica a seguire con attenzione: è difficile scindere i riferimenti culturali dal racconto in sé. 

Tuttavia Zerocalcare mostra delle interessanti aperture nello stile.  
Dodici ha delle bellissime tavole con riflessioni sulla contemporaneità da leggere a denti stretti. 

marcodemitri®


Christian Imbriani, un artista salentino





Il Salento qua e il Salento la, ma almeno per una volta, aiutate un nostro conterraneo contemporaneo, si puo' dire?
Insomma un artista giovane, molto disponibile e preparato: Christian Imbriani. 

QUI i dettagli sull'opera e sul concorso. 

marcodemitri®

domenica 10 novembre 2013

unastoria di Gipi [Recensione]




È sublime e struggente il nuovo lavoro di Gianni Pacinotti, in arte Gipì. 
Unastoria è composto da due racconti intrecciati in un unico punto di vista: l'ineluttibile trascorrere del tempo tra gioia e dolori, vita e morte. 
Non solo.
L'autore, pittore e regista, struttura il suo lavoro con una leggerezza narrativa potente e disarmante; perchè sa bene che la forza del cosa sfuggirebbe se ingabbiato da un come superficiale, effimero o troppo complesso.

Silvano Landi, un cinquantenne che vede la vita andare in mille pezzi, e il bisnonno Mauro, un soldato della prima guerra mondiale, sono i protagonisti dipinti della forza d'animo di chi non si è arreso all'accettazione passiva della morte. 

"Malevola tanto è la natura, quando amorevolmente protettiva è la nostra cecità", la natura, dalla bellezza crudele, acquerellata con colori caldi e freddi, è, poi un deus ex machina, un personaggio che più di ogni altro essere in carne ed ossa modella la storia. 


"È difficile restare arrabbiati quando c'è tanta bellezza nel mondo" funziona perfettamente nel contesto perchè spinge il lettore a prendere coscienza del quadro dipinto: è orrendo e meraviglioso. 

Anche il tempo ha una sua caratterizzazione: è il flusso che scandisce i momenti del racconto ma non la storia, che non ha un inizio e una fine convenzionale. 

"Se il diciottenne si svegliasse di colpo una notte, si alzasse ed allo specchio si vedesse con la pelle dei suoi futuri cinquant'anni, morirebbe vomiterebbe."

Sarà colpa della semplicità che non ti aspetti ma è difficile far capire quanto sia bella questa opera, quanta auto consapevolezza e maturità ci sia dietro ogni vignetta, per questo vi scrivo che leggerla almeno una volta al giorno, ormai, è diventata parte della mia esistenza. 

E spero basti. 

marcodemitri®



sabato 9 novembre 2013

G T A: S A L E N T O e sono contento [ATTENZIONE: se non ti diverti è colpa tua]



Recensire un gioco ambientato nella tua città non è semplice: si incappa molto spesso in quelli che sono errori di valutazione, superficialità e una certa arroganza perché non vorresti che se ne parlasse male. È campanilismo, bieco provincialismo o semplice attaccamento al luogo in cui sei cresciuto ma, in ogni caso, devi farlo. 


i pedoni non attraversano mai sulle strisce

GTA: L E C C E 

I programmatori sono riusciti a creare un mondo coerente, dinamico, che non si sta fermo pocoh pocoh insomma. Il protagonista, Maicollè, si muove in una città arrabbiata, perennemente in lotta con la segnaletica e brulicante di nuovi modi per stressarsi.

Trama

Un parcheggiatore abusivo che punta a diventare il signore dei parcheggi del Salento. 
La novità più importante, quella che ha scombussolato i fan, è sicuramente il doppiaggio; per la prima volta nella storia del gioco di Copertino, si ha la possibilità di cambiare registro linguistico. Si potranno ascoltare tre tipi di dialetto: leccese, gallipolino e surbino. L’approccio diventa quindi più realistico nella scelta, ad esempio, tra cucummarazzi, minunceddhre o menunceddhe da Attilio il fruttivendolo. 



il protagonista Maicollè

Partendo dal parcheggio dell'ipercoop, dovrà farsi strada tra neri che vendono accendini, rom che rapiscono bambini e gli indiani con le cover dei cellulari. Avrà un telefono con cui comunicherà con alcuni beggioni, indispensabili per relazioni politiche – commerciali – sociali, che ti indicheranno i posti a disposizione. Come sempre, ci sono anche attività e missioni secondarie: lanciare rifiuti tossici, rigare le macchine, giocare a tetris nei parcheggi dell'università, orinare allegramente sui monumenti, bere a più non posso da Paolone, comprare cover per il cellulare dagli indiani, non comprare rose, picchiare i baresi.


tipica missione secondaria


Guida

Guidare è impossibile. Nessuno rispetta i segnali stradali, le file arrivano persino alla tripla e può capitare che l’automobilista multato prenda a botte il vigile di turno. Ma quello che più stupisce è il rapporto giudice di pace – rispetto delle regole. Basterà, infatti, andare in un luogo indicato sulla mappa per eliminare le tipiche stelline e ritornare con la fedina penale immacolata.
Anche per questo titolo sarà possibile scegliere una serie di veicoli: dall’autosportiva del figlio di papà rintracciabile nel quartiere di Piazza Mazzini al SUV del centro storico e c’è persino l’Ape di maestro Carmelo (attivabile solo guidando a meno di 10 chilometri orari sulla superstrada Lecce – Brindisi). 

Scenario

Lo scenario è mozzafiato. È una terra bellissima, i tramonti sono splendidi e il mare anche. I wallpaper per il desktop vengono benissimo. Tra l'altro si mangia da dio e installando una app sull'iPhone, che se non ce l'hai non sei nessuno altro che Samsung, potrai sentire il profumo dell'aglio che inebria qualsiasi vicolo di Lecce vecchia. 

Missioni secondarie

Prendendo spunto da uno dei prodotti più importanti della storia della SudSystem Games, Red Finibus Terratoa, GTA: L E C C E si riempie di missioni secondarie. Giocandole potrà aumentare la tua stima in città. Partendo dal tizio sfigato e strambo, con occhiali e vestiario insignificante, salirai sino al vertice della scala sociale leccese diventando una celebrità. Come? Aumentando le tue amicizie vuote ma ricche. Capiterà di entrare in un locale di un tizio X famoso. L’amico, che nessuno conosce, se dovesse stringere la mano al tizio diventerebbe in men che non si dica: importante. La gente si avvicinerà per conoscerlo e alcuni faranno delle foto da postare su instagram con ashtag #limeju e a questo punto, chi se ne frega della storia principale.




marcodemitri®

venerdì 8 novembre 2013

Machete kills [Recensione]


L'idea di un settantenne messicano che sembra uscito da una ricerca de Lombroso e che con in mano un Machete fa a pezzi i cattivi, è stata a suo tempo interessante, molto interessante. E a destare attenzione non era tanto la trama quanto il fascino da "peggior bar di Caracas" del suo protagonista: Danny Trejo. 



Nato inizialmente come un fake trailer per l'intervallo di Grindhouse, in seguito le numerose richieste del pubblico, Machete diventò prima un capitolo a sé e poi una saga: Machete, Machete Kills e Machete Kills Again... in Space. 

Basato principalmente sul recupero del trash anni '70\ '80, attorniato da bellezze dirompenti e pop (Lady Gaga presa direttamente da Telephone) e arricchito di gadget da forme di dubbio gusto (pistola strap on - capezzoli mitraglietta - auto cartonate) Machete kills è scritto in fretta e furia e ammassato malamente.
È un mixer di nomi importanti, frullati con qualche battuta. Un potenziale di nomi sprecati, tra l'altro. Da Mel Gibson a Charlie Sheen, da Damien Bichir a Walton Goggins e poi tante di fighe che mi chiedo come mai non ci sia stata una scena lesbo, un capezzolo o un seno scoperto. Ne sarebbe valsa di più la pena invece di puntare sulle smorfie di Lady Gaga. 
Rodriguez non presta attenzione al ritmo, che risulta continuamente rallentato da lunghi sproloqui. Ci sono cinque minuti di dialoghi su un veicolo e una sparatoria in mezzo ad un esercito; non c'è tempo per divertirsi. 

Ma il problema principale è uno.

L'incipit è il trailer del terzo e ultimo capitolo: Machete Kills Again... in Space. 
Lo spettatore, ignaro, ha da subito la consapevolezza che si tratta di un film senza finale e l'attenzione viene meno. 
Ora, se in un film d'azione riesci a distruggere l'interesse dello spettatore in linea di massima hai sbagliato il film.

Senza spoilerare più del dovuto, il terzo capitolo sembra persino un salto senza ritegno nella fantascienza. 

Machete, dunque, è stato tirato fin troppo per le lunghe, un personaggio che meritava un solo momento di gloria e cioè QUESTO e se si aggiunge il fatto che si tratta di un omaggio al trash, che già di per sé è fatto male, il prodotto diventa del tutto inutile. 

marcodemitri®

giovedì 7 novembre 2013

"Rember the Monster" S8EP12: mai titolo più azzeccato per un finale pessimo. [Analisi su DEXTER e FINALE]

Sarebbe stato un vero affronto terminare Dexter dignitosamente, regalando al pubblico una trama coerente, ed è per questo che i suoi sceneggiatori hanno optato per una puntata formalmente insensata ma sostanzialmente giusta.

Dex mentre cerca di suicdarsi perchè ha letto lo script dell'ultima puntata


Dexter dunque ci lascia dopo due stagioni ottime, che sfiorano il capolavoro, e altre sei altalenanti tra l'orribile, il trash e il noioso. 

Ma facciamo un po' di ordine. 

Nel 2007, su ShowTime, va in onda la prima stagione.
Trasposto (liberamente) da una serie di libri scritti da Jeff Lindsay e dal nome La Mano Sinistra di Dio, Dexter è la storia di un serial killer che uccide altri serial killer seguendo un codice di comportamento di kantiana memoria (il codice Harry).

È una novità per il piccolo schermo. Nessun idealismo supereroistico, l'amoralità si veste del politicamente corretto e trasforma un assassino in un antieroe ma non in un vigilante.
Spaziando tra giustizia, etica e dualismo bene - male, Dexter costruisce un mondo coerente e accattivante. Un personaggio negativo, perchè un assassino, si trasforma in un personaggio positivo, un antieroe che uccide i cattivi, un batman dei primordi.

Il concetto di pena di morte rivisitato e snaturato delle discussioni Beccariane, perchè qui si sa sempre e per certo che il cattivo è realmente cattivo, e quello di giustizia si alterano: le azioni di un SK, che agisce per necessità, si scontrano con l'idealismo.

Il protagonista è interpretato da un bravissimo Michael C. Hall, che ricordiamo un eccellente attore in Six Feet Under. La sua è una interpretazione difficile, complessa, scissa tra una voce interiore e una esteriora. Il padre defunto, Harry, l'unico a conoscenza del suo segreto, gli appare, come un grillo parlante e lo guida nelle decisioni. Non è solo una coscienza, è una trasfigurazione della sua moralità.
Ad affiancarlo ci sono la sorella ("jesus fucking christ") Debra, un team di colleghi - tra cui il mio preferito e forse l'unico degno di nota Masuka.
Piccola nota: Il Sergente Doakes.
La scelta di ucciderlo presto è stata dovuta per assicurare climax e dare una giusta iperbole alla seconda stagione. Ma è fondamentale anche da "morto" perchè è servito agli sceneggiatori per riaprire il caso "bay harbour butcher" (così identificato nella seconda stagione) e assicurare ancora un briciolo di trama nella settima stagione.
Come vedremo a breve.



Le stagioni sono strutturate con un villain centrale e un killer ad episodio; le indagini avanzano e al contempo si alternano alle storie secondarie, indispensabili per la crescita personale del protagonista.

Il segreto del successo risiede nella capacità di turbare e tranquillizzare lo spettatore. Dexter è l’esternazione di quella vendetta forcaiola che fuoriesce, senza controllo, come risposta alla quotidianità brutale.
Ma se nelle prime due stagioni il personaggio intrigava e, grazie ad una regia ben dosata, catturava non annoiando, successivamente l’attenzione per i particolari è venuta meno, premiando il lato più superficiale ed economicamente sfruttabile.

Economicamente sfruttabile, appunto.

Il rischio per un prodotto della televisione generalista è quello di non aver programmato una fine. Il prodotto prosegue finchè fa ascolti e Dexter è uno di quelli. 
Un destino travagliato di rinvii e smentite che si definisce però con l’ottava, ultima, stagione.

Tirata su velocemente, scenograficamente spoglia e con personaggi che perdono qualsiasi bellezza narrativa, il giro di boa prosegue schiacciando il piede sull'acceleratore.
Si punta a chiudere definitivamente il passato di Dexter con un nuovo personaggio: la dottoressa Vogel, una psichiatra con un sinistro amore per i serial killer. Ed è difatti l’escamotage narrativo per dire addio allo spirito guida del padre e spingere il protagonista a superare il suo lato oscuro, lontano da Miami. Non solo, è lei la madre del villain principale: Saxon.
Che posto inizialmente come l’antitesi di Dex, passato simile con dinamiche di evoluzione differente, si rivela ben presto inutile. Scritto male, frettolosamente e dal pathos pressochè inesistente, il brain surgeon – così chiamato perché ama aprire le calotte craniche delle sue vittime – scompare ignobilmente con l’ultima puntata.

Riavvolgiamo il nastro.

Settima e ottava sono state fondamentali per tre eventi:
- La scoperta di Deb della doppia vita del fratello;

Un evento fondamentale, dovuto, che chiude il finale della sesta stagione. Deb riesamina il rapporto col fratello a tal punto da capire di essere innamorata di lui. E questo credo sia stato uno dei momenti più bassi raggiunti, cui segue: 

- La scelta tra il fratello e LaGuerta;

Con il fiato sul collo, il protagonista compie un passo falso, consegnandosi nelle mani dell’ex capitano del suo dipartimento, l’unica a credere ancora alle parole di Doakes. Per Deb si pone davanti ai suoi occhi una scelta: uccidere il fratello e riabilitare il suo giustizialismo e aver salva la conscienza o uccidere La Guerta e salvare il fratello. L’interrogativo è risolto prima ancora di essere posto, perché la sorella uccide quella che in quel momento è il nemico dello show.
La situazione non è certo delle migliori. Deb è ormai sconvolta psicologicamente e in conflitto con se stessa. Lascia la polizia e viene assunta per un'agenzia di investigazione privata diretta da Jacob Elway.

un tizio uscito da Beverly Hills 90210

Questo sarà il nodo centrale dell'ultima stagione e in particolare del finale. 

- Nuovo personaggio, l'alter ego al femminile di Dexter;

Hannah Maccay, una delle vittime designate della giustizia del protagonista ma che, per ovvi motivi di empatia, una volta risparmiata, diventa la sua amante. Ma il tutto dura poco perchè termina con la scoperta del tentato avvelenamento ai danni della sorella. Sbattuta in galera, riuscirà a fuggire. Dopo aver chiarito il tutto, Dex, la perdona. E così, con dolcezza e stucchevolmente, la coppia si consolida e spinge il protagonista a trovare rifugio in Argentina. Almeno nelle intenzioni.


ti uccide per attacco a pecora

Detto questo, veniamo al finale. 

- non ho parlato volutamente di Quinn, uno degli attori più inutili della storia;
- Harrison, il figlio di Dex, avuto con la prima moglie Rita, è la causa di quasi tutti i mali di Dex;
- Jamie, la badante di Harrison, sorella di Batista e ragazza momentanea di Quinn, e si spiega perchè non ne ho parlato;
- e altre #cose chiamate attori


1) A Miami sta arrivando una tempesta; 

2) Dexter è in partenza per l'Argentina ma in aeroporto il detective privato ex datore di lavoro di Deb, assoldato dallo sceriffo che indaga su Hannah per catturarla, è sul luogo;

Soluzione: Dex acquista una valigia, la riempie di oggetti, e incolpa Elway di averla lasciata nel centro della sala dell'aeroporto. Sappiamo come sono in USA, non guardano le registrazioni e subito di metton in lista no fly. Anche se non sei negro.

3) Deb, ricoverata dopo la ferita inferta da Saxon, entra in coma, così, dopo che è stata curata e quasi dimessa; 

4) Dexter sceglie di uccidere Saxon dopo un tira e molla tra "se uccido Saxon poi rinuncio a partire per l'Argentina" e un "se non lo uccido poi boh"; 

Il modo in cui lo fa, però, è divertente. 

A telecamere accese, Saxon, prende una biro lasciata sulla scrivania, (perchè si sa che nelle stanze degli interrogatori delle carceri di massima sicurezza uno può lasciare un oggetto incustodito, soprattutto se acuminato) e colpisce ad una spalla Dexter. A quel punto, Dex irato ma calmo, tira fuori la penna infilzata e colpisce al collo il killer. E sempre a telecamere accese, finge di spaventarsi. 

Ovviamente i poliziotti di turno, che hanno visto la scena, gli permettono di etichettare il tutto come "legittima difesa";

5) Hannah e Harrison partono in pullman dopo aver stordito Elway che era riuscito a rintracciarli;

6) Dex ha una rivelazione: decide di lasciare tutti i suoi affetti. Mentre la tempesta si avvicina a Miami e le strutture, come gli ospedali vengono evacuati, lui si reca dalla sorella in coma e decide di ucciderla. Ovviamente non c'è nessuno che se ne accorge. Non contento, trafuga il cadavere e lo porta, passando dall'ingresso principale, sulla sua barca;

7) Qualche dialogo con se stesso, qualche spiegazione sul fatto che da grandi poteri derivano grandi personalità, e getta via il cadavere in mare.

Non solo.

SI IMMOLA ANDANDO CONTRO IL TORNADO E NON SI SA COM'È LO SI RITROVA IN ALASKA AD AIUTARE I BOSCAIOLI.




E la puntata finisce.
La serie finisce.
Le mie risate finiscono così.


come per dire, boh non so, addio


Scemi.






marcodemitri®