- E poi? chiesi mentre al camioncino il messicano gridava numeri spagnoli, che successe?
- Però… fammi capire…. Massimo, sei scappato dall'Italia perché i poliziotti ti avevano arrestato?
Gli odori del cibo messicano erano così buoni che non riuscivi a staccarti via da quel camioncino. Volevi provare tutto ma come spesso accade la domenica dalla nonna:
COME SONO SOPRAVVISSUTO NEGLI STATI UNITI
SENZA CAFFÈ IN GHIACCIO E GUENDALINA
SAN FRANCISCO
[Seconda Parte]
PACIFIC HIGHWAY
(Intermezzo)
LOS ANGELES
(Terza e ultima parte)
Ultime ore del viaggio...
Max lo conobbi per strada.
A Carmel.
Non aveva molti bagagli, solo uno spirito avventuriero.
Non parlava italiano, solo salentino.
Ma di quel salentino gretto, che ascolti nella periferia, nei bar cristallizzati in epoche lontane.
Quel dialetto delle nonne, sedute fuori l'estate sulle sedie di legno.
Era quasi un'apparizione.
Max fuggiva dalla ragazza, che ormai era diventata un tormento; ma fondamentalmente aveva tanti soldi da parte da volerli spendere e poi vantarsi una volta tornato.
"Li amici mei mi devono invidiare, addhu bessere lu megghiu!"
"Io tra cinque giorni torno in Italia, Max, tu cosa farai?"
12 Novembre.
"Eccola, Eccola" urlai colpendo più volte Massimo.
Los Angeles, la città degli angeli.
Lui si svegliò di soprassalto gridando "
stau sveglio, stau sveglio!".
Gli chiesi di guidarmi verso l'hotel; la strada era già inserita nel navigatore e non avrebbe avuto altro da fare se non impostare il percorso.
E contro ogni mia aspettative riuscimmo ad arrivare in poco tempo.
"Attento Marco, a Los Angeles c'è il peggior traffico d'America" mi dissero in molti.
Ma io ero più che forgiato da quello di Lecce.
"
Se c'è na cosa ca funziona a Lecce ete lu trafficu!"
"'Evening!"
Appena scesi dall'auto fummo accolti da un un tizio mulatto in camicia bianca.
Ci chiese le chiavi dell'auto.
Io sinceramente non capii subito.
"Massimu ma ce bole?"
"Pensu sordi sai.."
"Sordi? E lampu! Fanne rriare mustafà!"
"
Tieni nà" gli allungai un dollaro "
buy a gelato…"
Mi guardò male, poi sorrise sfoderando denti bianchissimi, e a gesti ci fece capire che era il parcheggiatore.
"Marcu nu te fidare.. quistu parcheggiatore abusivu ete!"
"Naa puru a quai stannu?!"
E gli allungai un altro dollaro.
Lui lo accettò alzando gli occhi al cielo e sembrò stufato quando ci indirizzò verso la reception.
E lì ebbi la consapevolezza di essere arrivato in una megalopoli.
Al computer, un uomo enorme.
Quando parlava non guardava mai in faccia.
Le lenti degli occhiali riflettevano lo schermo del computer e le poche parole, spedite da copione già scritto, viaggiavano afone e robotiche.
"Iddhu na. Te piacenu le purpette ah?!"
"Massimo
cittu"
"
Mena tanto mica conosce il dialetto."
Sorrisi dandogli ragione.
Poi una folata di vento e attraversò l'atrio una ragazza pallida, vestita di rosa, con i capelli rosa.
Sullo sfondo blu delle pareti dell'Hotel sembrò una medusa.
Fluttuante.
Trasparente.
Affascinante.
Uao, dissi dentro di me,
che figata.
"This is your Key for the room.."
Presi le chiavi, le valige e ci indirizzammo verso la camera.
Ma con "
Excuse me!" il tizio corpulento ci richiamò.
Ci spiegò dopo mezz'ora di conversazione che a quello fuori non dovevamo dare soldi perché era il parcheggiatore dlel'hotell.
A quel punto dissi a Massimo "
hai istu?! tenmu puru lu parcheggiatore ufficiale."
E dentro di me partì il riff.
SE QUESTA È LA VITA A LOS ANGELES
MMH MMH
POI TANTO MALE NON È.
Ultime ore del viaggio...
"Nu sacciu… Marco… Forse teni ragione… Forse è megghiu cu rimanimu a quai..."
13 Novembre.
Decidemmo di fare i primi giri nella città per conoscerla meglio.
Alla reception.
"Maestroh la car? Dove sta? Where is the car?"
Lui ci gesticolò senza distogliere gli occhi dallo schermo e ci puntò il dito verso il corridoio che dava al parcheggio.
"Grazie, don't know?!"
Alzò lo sguardo per lanciarmi una occhiata, disgustata.
Ad aspettarci c'era lu Totu, il parcheggiatore.
Abbronzato, con la camicetta e il cappellino.
Dissi a Massimo "moi comu dicimu a quistu ca n'ha dare la machina?"
"Spetta ca qualche parola in inglese la sacciu."
"Eh.. Master… we need the car…"
Ci rispose qualcosa che non capimmo ma non fu importante quando giunse con la nostra bimba.
La nostra bellissima dodge: bianca ed enorme e 'spierta da farci sembrare dei surbini in assetto da rapina.
Io e Massimo ci guardammo estasiati e indossammo gli occhiali da sole:
eravamo pronti.
Los Angeles è districata in diverse zone e un vero losangelesiano non direbbe mai "vivo a Los Angeles" perché è come dire "vivo in Lombardia".
Si specifica la zona: LA, Glendale, Venice, Santa Monica ecc..
Sono città in una megalopoli attraversate da una enorme autostrada.
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L'incrocio del bar Rosso e Nero visto dall'alto o come lo chiamerebbero qui:
The burdel of Red and Black.
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A Venice l'aria odorava d'estate. Era novembre ma il sole forte illuminava ogni angolo della via.
Venice beach è come Gallipoli. Una città immersa di odori molesti, fermenti giovanili, capelli rasta, bottiglie di birre e tanto, tanto mare.
Qui io e Massimo ci stendemmo in un prato e ascoltammo i suoni del mare.
Le onde che scandivano i nostri ricordi.
- Marcu ogghiu tornu!
- Io, no invece…
- C'ha dittu?
- Non voglio tornare…
- Su cose da dire??
- Eh sì. Mi piace stare qua. Ho tutto.
- Come il nostro Salento non c'è niente!
- Bah… ci sto ripensando. Guardati intorno. Abbiamo tutto. Il sole, il mare, il vento. Ok, non abbiamo l'US Lecce, non abbiamo il caffè in ghiaccio… il guendalina. Non abbiamo la nonna… e tante altre cose ma senti che libertà. Sentila. Respirala.
Annusò l'aria, Massimo.
- Iou sentu na 'ndore de canne…
- Eccu sta bidi? Puru a quai tenimu le canne dellu Parco Gondar!
- Sta 'mpaccisci. 'Ntisate ca scia mangiamu.
Le ali di pollo imbevute di salsa piccante messicana e poi della Louisiana sono molto buone.
Saporite, finché i gangli intestinali riescono a reggere cotanta veemenza. Il problema principale è che non te ne accorgi subito del grave errore che hai fatto.
E infatti.
La sera il mio intestino lo sentivo gorgogliare.
Muoversi convulsamente.
Lo sentivo male. Molto male.
La mia fortuna fu trovarmi in camera, dove potei scappare subito in bagno. E lì, diedi il meglio di me.
- Marcu sta te cachi? Duma l'aspiratore!
- Sine, tranquillo!
Urlai dal bagno, seccato.
Quando c'è un incendio si vieta categoricamente di aprire porte per impedire che l'arrivo di ossigeno possa alimentare ancora di più le fiamme.
Lo dicono per evitare stragi.
Lo dicono per salvare vite umane.
Ma chi è, in momenti di panico, così coscienzioso da ricordarsene?
E così aprii la porta.
L'aprii con l'adrenalina di un uomo che vuol scappare via da un orrore.
E l'aria si fece marcia.
E la moquette si impregnò.
E allo stesso modo delle spore, da quel manto morbido, fuoriuscivano polveri sottili.
Mortali.
- Porcu dissi, c'ha cumbenatu? Ce colera!
- Pure a te succede!
- Santo dio. Qui si muore. SI MUORE!!!
La leggenda narra che la notte dormimmo con le finestre e le porte aperte, con i lucchetti e le valige attaccate al corpo.
Pare che ci furono diverse lamentele.
Ultime ore del viaggio...
Gli americani non capiscono nulla di cucina, sentivo dire spesso. E in parte ci credevo. Anzi continuo a sostenerlo. Eppure per come ho mangiato si può dire che questo è un falso, del resto come noi italiani mammoni.
14 Novembre.
La mattina era iniziata presto, avevamo in programma una visita agli studios cinematografici. Erano tanti e dislocati in diverse zone della città.
Il letto sfatto mi riportò alla mente dei ricordi vecchi e recenti, in un susseguirsi di scene di una routine quotidiana, immagini che focalizzi meglio quando sei lontano da quei gesti abitudinari.
- Massimo però mi manca la mamma… Sai che la mia quando esco di casa presto e non ho sistemato il letto, sai che me lo fa lei?
Perché dice:
ca se mueru almeno li cristiani nu dicenu ca lu liettu era scunzatu!"
- MATONNAAAAA PURU LA MIA FACE CUSSI'!
Per un momento fissai meglio il mio compagno di viaggio, era già pronto, vestito, pulito, e aveva il letto sistemato. Come se non lo avesse mai usato. Gli chiesi spiegazioni ma mi rispose "te droghi?".
E così non ci badai.
Entrammo in macchina e partimmo per un lungo tour.
Avvertivo qualcosa di strano.
Però.
E dal nulla, sorpassando una serie di auto in fila.
- Sì, sì, sì, sì, sì.
- Sì, cosa Massimo?"
Tolse il dito dal naso, se lo studiò e poi si pulì sui jeans.
- … Cosa sì?
- … Hai detto sì… Non ho capito a cosa, però.
- Ma ce te fumi?
- Comu? Mo l'hai ditta.
- Guarda ca nu n'aggiu dittu nienzi.
- Vabè
meh,
lassa perdere.
- Fermate ca aggiu cagare.
- 'Ntorna??
- Sì sì sì sì sì.
Portai l'auto fino al parcheggio di un fast food, In&Out il nome, e mi fermai.
Lui si diresse in bagno. Io ordinai e mandai un messaggio a Martina.
"Martì stiamo per andare agli studios della Warner Bross. Tu che combini?"
Sapevo benissimo fossero lì le 21, ma, stranamente volevo sentirla.
Ascoltare la sua voce, la sua cadenza meridionale.
Il suo essere forte e deciso da farmi apparire quasi un estraneo.
Dicevano: ma perché non la lasci? Ti comanda sempre a bacchetta. Non è da uomini
latini.
Rispondevo: le donne del sud sono forti, devono esserlo per crescere un bambino.
E decisi persino di chiamarla.
"Sta fazzu la dieta", esordì così nell'unica conversazione cui riuscimmo ad avere per lungo.
Mi raccontò.
'La nepute della zia Tetta de Scorranu m'ha consigliato sto dietologo. Nu possu mangiare nienzi pero. Ddhadiaz.
Quel dolce momento tanto atteso, quello per cui tutte le incertezze di un viaggio dovrebbero sparire.
E parlava Martina, parlava. Non mi chiedeva nulla. Come stai? Che hai fatto?
Nulla.
"Martì sai che og.."
All'improvviso in lontananza, dall'altra capo del telefono sentii forte e chiaro:
'Martina c'ha mangiare osce?? Pastah o insalata. Mena ca la nonna ha purtatu la parmiggiana!'
Era la madre.
La sentivi urlare a distanza.
'Martinah lu Marcu ce sta face?? Stae culle americane no?? Dinne cu torna ca tenimu tanti posti belli a quai senza cu se scafa alle americhe!'
Non ebbi il tempo di replicare che mi rispose fredda.
'
Mena che devo mangiare.'
'Quindi quando torno ti trovò magra?'
'Ce boi dici? Ca su rossa??'
'No però se fai la dieta...'
'Ciao Marco.'
E chiuse.
"Pronto? Pronto?
"Ancora a
quiddha 'sta pensi?"
Massimo era tornato con un volto soddisfatto e capii che era andato tutto bene.
Mangiammo e partimmo per i
Warner Studios.
Era la tappa centrale del giorno.
Sulla strada, ad intervalli, lo iniziai a fissare, Massimo.
Il suo tatuaggio.
I suoi capelli.
Il suo modo di vivere.
Un salentino come me, in America, che cosa buffa mi dissi.
Negli Studios della Warner Bross, ci facemmo un giro sopra un trenino. Nella motrice c'era una ragazza, tatuata, che parlava in inglese.
Solo e soltanto in inglese.
- Sta giaggianese… e nu parli de carbu?
- Cittu Massimu…
Discuteva di tutti gli stage e i posti famosi.
Dove avevano girato le scene dei film della casa di produzione e dove ne stavano girando di nuove.
Passammo per un capannone dove c'erano dei falegnami che lavoravano, non tutti. Uno era steso su un bancone. Altri ridevano.
E quelle risa mi contagiarono.
E risi anche io.
Mi venne alla mente lo zio Antonio; un falegname d'altri tempi. Me lo ricordavo taciturno e scorbutico mentre lavorava il legno nella sua casa a Santa Rosa.
Gli piaceva quel mestiere, un genio.
La mia terra di falegnami, di operai manovali. Di contadini. Pagati poco ma maestri nel cuore e nell'animo.
Sul finire del giro turistico, bam. Ci troviamo nel mezzo di una esibizione dei costumi e degli oggetti e dei veicoli di tutti i batman. TUTTI.
Gli Universal Studios con le macchine di Fast and Furious.
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- Martì guarda comu quiddha dellu boss de Campi ete!
- Almenu nu tene na panda scasciata comu la toa, Marcu!
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La giornata volse al termine con un giro sulla
Walk Of Fame.
Ultime ore del viaggio...
Nove ore di differenza con l'Italia.
Con la Puglia.
Con Lecce.
È buffo perché è come se mi trovassi indietro nel tempo in un paese avanti cinquantanni.
Un paese avanti ma senza bidet.
Comu fannu, dicu.
15 Novembre.
Ovvero: di come Marco si vestì di Malinconia.
La mia terra, i miei ricordi, è solo un viaggio Marco, solo un viaggio.
E se esistono altri mondi oltre il Salento?
Non c'era modo di fermare l'auto, che sfrecciava imponente sull'asfalto ruvido e rovente. Il sole alle mie spalle a brillare sullo specchietto retrovisore i sogni e le speranze dell'ultimo giorno del mio viaggio.
Rivolgevo spesso lo sguardo, come per accertarmi di non essere solo in questo tragitto. Gi occhiali da sole che tanto Salento avevo riflesso pendevano sul naso, la fine di un'avventura senza precedenti.
Io non potevo farcela.
E da una certa altezza la città bollente di mille luci mi apparì dinanzi, come in un sogno.
Massimo aveva altri in giri in programma, non sarebbe tornato con me.
D'altronde lui faceva parte di un'eccezione, qualcosa che in un viaggio del genere ti capita.
Ti deve capitare.
Con Martina invece era un discorso aperto. Erano ormai una ventina di giorni che non la vedevo e questo mi aveva forse aperto gli occhi.
Noi siamo quelle coppie, tendenza, quelle che ti ritrovi nei bar più in, nelle serate glamour.
Coppie che fanno scalpore.
E forse questo viaggio l'aveva destabilizzata un po'.
Trovarci separati cosa avrebbe fatto pensare alla gente?
No, non era una cosa bella. Una cosa da salentino vero.
Dissi a Massimo di aspettarmi un attimo in auto prima di dirigermi verso l'aeroporto.
Erano nove le ore di differenza con l'Italia e le ultime ore d'America.
Dovevo chiamarla, dovevo capire meglio il nostro futuro.
E poi mi sarei regolato.
Su quale maschera indossare una volta tornato.
"Pr…pronto?!"
Una voce impastata dal sonno.
Tutto d'un fiato le sparai le mie perplessità.
"Marti lo so che è tardi o è presto, lo so, però ti devo dire una cosa: tu vuoi realmente vedermi? Questo viaggio è stato importante per me… Mi ha fatto capire tante cose… Tante.
Io ti voglio rivedere, poi prendere e partire di nuovo. Ti prego dimmi la verità: ,i vuoi o no?"
Il cellulare mi mandò un segnale di avviso di chiamata.
"Aspetta, avviso di chiamata, scusami!"
Era mia madre.
"MARCU MIU! Hai pigliato tutto, no? Tutto - Tutto, no? Non è che ti sei dimenticato niente no?"
"Mamma sì, ho…"
"Ecco, t'ha scerratu qualche cosa.. la sapia mannaggia san pistone!"
"Mamma no! Ho preso tutto…"
"Lu regalu alla zia Daniela? Lu ziu Antoniu? La nonna? Lu Vittorio? L'Osvaldo ca te porta sempre gli zanguni? Lu Giovanni della macelleria ca te da li turcinieddhi?"
Il cellulare squillò di nuovo.
Era mia nonna.
"MARCU MIU sta torni??"
"Nonna ma non stai dormendo?"
"None m'ha chiamatu mammata e m'ha dittu ca stavi subbra insbruk… m'ha dittu chimalu moi ca se non sparisce subbra li aerei…"
"Ah grazie nonna… Tanto tra poco ci vediamo!"
"Se lu signore ole! Statte attentu ca osce la commare Angela ha dittu ca sta cadenu nu saccu de apparecchi! Cu tutti sti Rom!"
"No, tranquilla Nonna… Mo torno che…"
Un altro avviso di chiamata.
Era mio padre.
"Marco."
"Papà."
"È andato tutto bene?"
"Sì, papà."
"Femmine?"
"Ho Martina."
"All'età tua ne avevo venti."
"Ma se all'età mia avevi già due figli? Tradivi la mamma, quindi?"
"Tu non hai 19 anni?"
E squillò il telefono di nuovo.
Era Massimo
"Massimo ce buei?"
"Comu ce buei? Me sta scinde lu latte! Te movi!?"
Chiusi tutte le chiamate.
Lasciai solo Martina.
"Martina, allora?"
"Marcu si sciutu da Tiffany?"
"Sì…"
"E allora puoi tornare. Te sta spettu bella tonica. Tutta pe tie!"
E partì nuovamente il riff.
SE QUESTO È IL RITORNO
MMH MMH
POI TANTO MALE NON È.
16 Novembre.
Ovvero: ultime ore del viaggio.
Massimo mi lasciò prima di arrivare all'aeroporto.
- Marcu miu si statu nu frate comu nu vagnone delle vele, pe mie. E dhai sai quanti su forti li cristiani!
- Grazie Massimo…
- Quandu tornu ni sentimu!
- Sì… dai…
E poi si accarezzò il tatuaggio del bacio sul collo e gli disse "dinne ciao cumpà!"
Le labbra si mossero e io dissi a me stesso "non sta succedendo veramente, non sta succedendo veramente."
Poi mi svegliai di soprassalto sull'aereo.
Mi chiesi: Massimo?
Il passeggero accanto mi guardò stranito e anche un po' spaventato.
Non dovevo avere un aspetto fresco e riposato e pensai di avere gli occhi rossi, mi capita spesso quando non dormo bene. Ma in quel momento era Massimo il mio pensiero.
Provai una strana sensazione, quasi di disillusione. La stessa che ti colpisce quando ti svegli da un lungo sogno e pensi fosse reale. E ci rimani male. Malissimo.
Realizzai dell'importanza del compagno di viaggio, avevo forse bisogno di un alter ego che non mi facesse dimenticare della mia terra natale.
Perché per quanto lontana non lo è mai realmente nel tuo cuore
E qualcosa di ancora più puro, la felicità dev'essere condivisa.
Massimo, dissi di nuovo.
Un nome le cui lettere si persero nell'eco della mia mente.
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Da una certa altezza sembrò fuggire via la città bollente dalle mille luci.
L'aereo puntò l'immenso blu e sparì.
Conosco un tipo a Lecce.
Lui è sempre incazzato perché vive nella terra più brutta del mondo, racconta.
Non vede l'ora di andare via ma sempre lì resta.