Che il cinema super eroistico abbia avuto una inversione di
tendenza rispetto al passato è stato testimoniato negli ultimi tempi da due
pellicole americane: I Guardiani della Galassia e Deadpool. Una costrizione in
parte dovuta da ragioni di mercato e di appeal, cercando dunque nella ironia e
nel cinismo nuove vie per rimodernare un genere giovane ma prossimo alla fine.
Almeno secondo quanto sostenuto da molti produttori.
Eppure se nel giovane continente si parla già di una
possibile fine – come avvenne per i film western – negli altri paesi non si è
ancora giunti nemmeno alla cosiddetta età dell’oro.
Accogliendo la lezione e studiandola nei minimi particolari,
anche l’Italia ha voluto dire la sua. E lo ha fatto attraverso la visione di un
giovane regista esordiente e un manipolo di brillanti sceneggiatori. Non solo,
si è voluto osare con materiale esterno e quindi con una serie di fumetti da
poco usciti in edicola; un modo per ravvivare e creare una continuity da non
esaurire nelle circa due ore di spettacolo.
Parliamo de Lo Chiamavano Jeeg Robot, che con forza
dirompente irrompe sulla scena italiana, sconquassando il pubblico reduce dalle
risate del film di Zalone o dalle paranoie de Perfetti Sconosciuti.
Superando il limite della scarsa originalità italiana, che
copia, che spia, che ripropone commedie già viste, che riecheggia i classicismi
dei registi transatlantici, che si mette al sicuro proponendo la solita
minestra, il film di Mainetti si inserisce in un contesto poco esplorato nel
Bel Paese.
Di grande impatto ma anche di grande rassicurazione, il
fatto che cinema italiano abbia finalmente il suo film d’azione, da una parte
continuando la tradizione dei nostrani thriller anni settanta e dall’altra
inaugurando una nuova era, produttori permettendo.
Con una ripresa aerea veloce, coi palazzi e le case e le
viuzze dall’alto, gli inseguimenti poi, e la presentazione del protagonista
come fosse un fuggitivo, non c'era modo migliore di iniziare.
Come per dire allo spettatore, seguimi.
Sì, segui la storia di Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria),
il protagonista.
Un uomo che è nessuno, è di poche parole, che compie piccoli
furti per sbancare il lunario. Della gente non gliene può fregare di meno e
soprattutto di fare l’eroe. Vive in un quartiere degradato (Tor Bella Monaca),
quello delle borgate romane, becero e sporco. Ignorante. E lui si muove con
pigrizia e apatia. È l’antieroe, un personaggio costruito sul rifiuto del
canone idealista fumettistico anni cinquanta.
Superata la prima parte, da manuale c’è l’entrata in scena
del villain interpretato da un ottimo Luca Marinelli, reduce dal successo de
Non essere cattivo. Al contrario, è spinto dalla bieca e feroce aspirazione di
diventare qualcuno in un contesto criminale asfissiante.
C’è quindi una ottima contrapposizione tra i due volti, i
due protagonisti veri e propri della pellicola. A questi si aggiunge una sfera
di personaggi che, nelle loro azioni, determinano, le conseguenze delle loro
evoluzioni. Da una parte c’è Ilenia, una ragazza che dopo essere rimasta
turbata dalla morte della madre svilupperà una malattia per Jeeg Robot e da qui
l’inside joke, perché lei vedrà in Enzo l’eroe Hiroshi Shiba, e dall’altra
l’organizzazione camorristica, da cui si inizierà a sciogliere la matassa
centrale.
Rifiutando il classicismo del tema supereroistico, da una
grande potere derivano grandi responsabilità, e appropriandosi di una
caratterizzazione tutta italiana, il dilemma del super eroe, della persona che
dedica la vita al bene, la forza e l’immortalità, i superpoteri, si concentrano
in un caleidoscopio di cattive intenzioni che spingono la storia senza
paternalismi o stucchevolezze. Inoltre con l’uso dello splatter e di alcune
scene politicamente scorrette, si va oltre per confezionare un prodotto divertente
e interessante.
Gabriele Mainetti, il cui estro è stato portato alla luce
con Basette e Ultima Spiaggia, porta a compimento una bella idea, che è anche
un ottimo punto di partenza per un film di genere.
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