La luce dei
lampioni macchiava le tenebre della notte mentre una soffice nebbia avvolgeva
le poche auto ferme sulla strada. Immobile, spettrale, nell’angolo di un
incrocio poco trafficato una bar \ panetteria si ergeva a meta di ristoro per i
giovani e anziani che di tornare presto a casa non avevano la minima
intenzione. E a dire il vero: quel posto era riservato anche a chi non
conosceva la parola dieta.
Due
ragazzi, imbellettati nel migliore dei modi, che il sabato sera per loro era
più che una festa: una sfilata, si dirigevano verso quel posto. L’auto lasciata
in diagonale, tanto nessuno avrebbe avuto da ridire, si muovevano lanciando
sguardi fieri in quella landa desolata. Le persone sostavano in uno spazio
angusto, dove alcuni sedevano su sedie colorate, mentre altri in piedi
chiacchieravano gustando, divorando, cornetti farciti e zucchero a velo cadeva
lentamente.
Chi?
Alice, come
chi?
Ah..ò.
Dalla
bellezza dei loro volti, le parole fuoriuscivano imprigionate nell’accento
forte della loro città.
Tu cosa
prendi?
Un cornetto
alla crema. Ma lascia che pago io.
No, fermo,
ci penso io che tu mi hai offerto il sex on the beach.
Potevo anche non dirlo il nome,
meglio così però, qualcuno mi ha guardato.
Mattia pagò
anche per Stefano e i due uscirono dal locale dalle luci calde e gremito di
gente in fila. Molti si affollavano sul bancone, innamorati da quelle leccornie
colorate e altri erano lì ad ammorbarsi di interrogativi per una sabato sera
non andato esattamente secondo i piani.
Si
spintonavano, addobbati in festa, dagli abiti alla moda con i risvolti tirati
all’insù e gli occhi lucidi di sonnolenza. Sapevano che il giorno dopo sarebbe
stato un giorno di riposo e ne approfittavano spingendo il loro fisico fino al
massimo che potevano.
Allora
questa Alice la conosci o no?
No, Mattia, no. Non mi viene in mente nessuna Alice.
No, Mattia, no. Non mi viene in mente nessuna Alice.
Che
delusione, Ste. È una gran figa. Quella mora, con i capelli a caschetto che
lavora in quel negozio d’abbigliamento. Possibile non ricordi?
Ah, adesso
ricordo. Ma è solo questo: una gran figa e basta. Non mi ricordo altro.
Sì, e che
te ne frega? Te la devi scopare e basta.
Dicevo… non
mi ricordo che si sapesse vestire o altro.
Questo è
vero. Ma come ti ho detto: basta che te la scopi.
E poi non
ha un bel culo, dai.
Ma che te
frega. Ha due belle tette.
La
conversazione correva tra epiteti sfrontati, giochi di parole, e citazioni
pornografiche. A Mattia piaceva parlare del seno, delle spagnolette. Lo faceva
sentire grande e grosso anche se basso e tarchiato. Per lui saltare su un corpo
femminile e infilare il suo pene sulle curve di un seno grosso e tenere stretto
quel corpo caldo tra le sue ginocchia era il massimo.
Mentre ne
parlava, gli scivolò un brr ed ebbe una erezione.
Cazzo se me la scoperei. Cazzo, sì.
Stefano
faceva finta di ascoltare. Il più delle volte si vedeva in terza persona, sono un bel ragazzo alto e grosso, con stile.
Vestiva firmato, si profumava e si riempiva il volto di creme; perché non
voleva apparire fuori forma all’età di venticinque anni. Non come il padre, che
in foto all’età sua sembrava fin troppo vecchio anche per adesso.
Mi piace quando Mattia parla di
tette, in molti si girano. E mi guardano.
Stefano
dedicava il sabato alla palestra. Da ultimo giorno lavorativo della settimana
non poteva uscire senza quell’effetto di vasodilatazione che lo faceva apparire
più grosso. Poi, dopo un’ora e mezzo circa, si cibava di una poltiglia
biancastra e collosa che il suo personal trainer gli aveva consigliato. Anzi: obbligato.
Non devi
attendere molto dalla fine degli esercizi, bevila subito che le proteine ti si
mescolano. E cresci, cresci e cresci.
L’ennesimo Cresci suonò estasiante, si emozionò e
si eccitò. Ma di quest’ultima reazione un po’se ne vergognò.
I muscoli
di entrambi gli avambracci si tesero, innalzandosi, per togliere via la
maglietta aderente che aveva scelto per quel giorno, svelando un fisico
asciutto e compatto, duro e tonico. Gli addominali scolpiti, e i pettorali
gonfi, dove fece scorrere il dito descrivendone le forme. Si mirava allo
specchio dello spogliatoio, si toccava languido e sfuggente, immerso nei fumi
del vapore dell’acqua calda. Si piaceva e si apprezzava. Si estasiava di eccitazione
alla vista di quel corpo così perfetto. Passò infine la mano tra i capelli per
sistemarsi il ciuffo che cadeva all’ingiù, bagnato da gocce di sudore; una
rugiada grondante sulla pallida pelle sfumata rosa.
Che poi non
saprei, Diletta pure mi fa impazzire ma è troppo secca.
Ah, sì.
Troppo secca. A me piace un fisico snello.. e…
Vabbè tu
sei fissato, Ste. Sei malato.
Ognuno ha i
suoi gusti.
Disse
stizzito colpito dall’immagine riflessa sulla lamiera dell’auto. Appariva fin
troppo gonfia in alcuni punti.
Certe volte non lo sopporto. È
troppo vanitoso. Ma fa bene. Vorrei essere come lui. Perché non sono come lui?
Finirono il
loro bombolone con la crema, un’eccezione che Stefano a malincuore si concedeva
il sabato. E lasciarono cadere le carte per terra, incuranti sia della strada
sia delle persone che avrebbero potuto guardarli severi. Avrebbero potuto,
infatti, perché erano tutti impegnati in discussioni.
Mattia si
accese una sigaretta, con una rapida mossa con lo zippo. Aspirò, tirando via
qualche millimetro; la punta lampeggiò e poi si attenuò. Poggiò col ginocchio
flesso, il piede sulla ruota dell’auto, attirandosi un’occhiata di Stefano e
tenne la sigaretta stretta tra due dita, divertendosi mentre parlava a ruotarla
per lasciare dei cerchi di fumo nell’aria. Si sentiva più sicuro di se, con
quel veleno.
Stefano si
allontanò, invece. Sebbene quell’accessorio lo avrebbe reso più macho, la
sigaretta sarebbe stato il male per la sua pelle e il suo fisico e dunque
l’apparenza della sua età.
Ti stavo
dicendo… Ad Alice devo chiedere il numero. Sì, me la devo fare.
Sì, te la
devi fare.
È questione
di chimica, inutile. Devo scopare. Basta queste ragazzette con la Smart e la
borsa Gucci. Voglio una che vesta almeno Prada e che si sappia comportare.
Secondo me
si veste male. Non puoi portare il blu col nero, no.
Tu sei
rimasto indietro nel tempo, Ste. Ormai i colori si scambiano e quelli che non
riesci a vestire, alla fine, ci riesci ad abbinarli. Prendi i pellicciotti a
giacchetta. Non hanno senso! Eppure le grandi fighe sono lì ad indossarli. E tu
le guardi e pensi se il pelo lo hanno dentro anche.
Bella
questa, si mise a ridere di gusto perché la battuta era geniale.
Davvero! A
me farebbe orrore vedere una con il cespuglio. Non siamo mica negli anni
ottanta eh. Depilatevi, depilatevi.
Stessa
cosa! Si depilano gli uomini, perché non dovrebbero le donne? Non posso restare
con i peli tra i denti.
Che schifo,
Ste. Adesso non mi leverò più questa immagine dalla testa.
Effettivamente
Mattia continuò a pensare a Stefano che praticava del cunnilingus. Ma, vanitoso
com’era, se lo immaginò per un momento che correva via in bagno a lavarsi i
denti. Non poteva, secondo Mattia, avere il timore di sporcarsi i denti. Questo
pensiero lo fece rasserenare con sè stesso, pensando a quanto fosse semplice
per lui, non bello quanto Stefano, a prendersi meno sul serio.
Dai Ste,
andiamo a farci una giocata a bigliardo. Ci stai?
Ovvio!
L’orologio
digitale nell’auto segnava le 4 e 35. Il giorno dopo era giunto, avvistato in
in un leggero albeggiare. Per loro però, la notte non era ancora finita. Avevano
tappe fissate per ogni ora, del resto non era il loro primo sabato insieme e il
giorno dopo non avrebbero avuto nulla da fare.
marcodemitri®
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