sabato 16 aprile 2016

Un cornetto alle 3AM

La luce dei lampioni macchiava le tenebre della notte mentre una soffice nebbia avvolgeva le poche auto ferme sulla strada. Immobile, spettrale, nell’angolo di un incrocio poco trafficato una bar \ panetteria si ergeva a meta di ristoro per i giovani e anziani che di tornare presto a casa non avevano la minima intenzione. E a dire il vero: quel posto era riservato anche a chi non conosceva la parola dieta.
Due ragazzi, imbellettati nel migliore dei modi, che il sabato sera per loro era più che una festa: una sfilata, si dirigevano verso quel posto. L’auto lasciata in diagonale, tanto nessuno avrebbe avuto da ridire, si muovevano lanciando sguardi fieri in quella landa desolata. Le persone sostavano in uno spazio angusto, dove alcuni sedevano su sedie colorate, mentre altri in piedi chiacchieravano gustando, divorando, cornetti farciti e zucchero a velo cadeva lentamente.
Hai sentito di Alice?


Chi?
Alice, come chi?
Ah..ò.
Dalla bellezza dei loro volti, le parole fuoriuscivano imprigionate nell’accento forte della loro città.
Tu cosa prendi?
Un cornetto alla crema. Ma lascia che pago io.
No, fermo, ci penso io che tu mi hai offerto il sex on the beach.
Potevo anche non dirlo il nome, meglio così però, qualcuno mi ha guardato.
Mattia pagò anche per Stefano e i due uscirono dal locale dalle luci calde e gremito di gente in fila. Molti si affollavano sul bancone, innamorati da quelle leccornie colorate e altri erano lì ad ammorbarsi di interrogativi per una sabato sera non andato esattamente secondo i piani.
Si spintonavano, addobbati in festa, dagli abiti alla moda con i risvolti tirati all’insù e gli occhi lucidi di sonnolenza. Sapevano che il giorno dopo sarebbe stato un giorno di riposo e ne approfittavano spingendo il loro fisico fino al massimo che potevano.
Allora questa Alice la conosci o no?
No, Mattia, no. Non mi viene in mente nessuna Alice.
Che delusione, Ste. È una gran figa. Quella mora, con i capelli a caschetto che lavora in quel negozio d’abbigliamento. Possibile non ricordi?
Ah, adesso ricordo. Ma è solo questo: una gran figa e basta. Non mi ricordo altro.
Sì, e che te ne frega? Te la devi scopare e basta.
Dicevo… non mi ricordo che si sapesse vestire o altro.
Questo è vero. Ma come ti ho detto: basta che te la scopi.
E poi non ha un bel culo, dai.
Ma che te frega. Ha due belle tette.
La conversazione correva tra epiteti sfrontati, giochi di parole, e citazioni pornografiche. A Mattia piaceva parlare del seno, delle spagnolette. Lo faceva sentire grande e grosso anche se basso e tarchiato. Per lui saltare su un corpo femminile e infilare il suo pene sulle curve di un seno grosso e tenere stretto quel corpo caldo tra le sue ginocchia era il massimo.
Mentre ne parlava, gli scivolò un brr ed ebbe una erezione.
Cazzo se me la scoperei. Cazzo, sì.
Stefano faceva finta di ascoltare. Il più delle volte si vedeva in terza persona, sono un bel ragazzo alto e grosso, con stile. Vestiva firmato, si profumava e si riempiva il volto di creme; perché non voleva apparire fuori forma all’età di venticinque anni. Non come il padre, che in foto all’età sua sembrava fin troppo vecchio anche per adesso.
Mi piace quando Mattia parla di tette, in molti si girano. E mi guardano.
Stefano dedicava il sabato alla palestra. Da ultimo giorno lavorativo della settimana non poteva uscire senza quell’effetto di vasodilatazione che lo faceva apparire più grosso. Poi, dopo un’ora e mezzo circa, si cibava di una poltiglia biancastra e collosa che il suo personal trainer gli aveva consigliato. Anzi: obbligato.
Non devi attendere molto dalla fine degli esercizi, bevila subito che le proteine ti si mescolano. E cresci, cresci e cresci.
L’ennesimo Cresci suonò estasiante, si emozionò e si eccitò. Ma di quest’ultima reazione un po’se ne vergognò.
I muscoli di entrambi gli avambracci si tesero, innalzandosi, per togliere via la maglietta aderente che aveva scelto per quel giorno, svelando un fisico asciutto e compatto, duro e tonico. Gli addominali scolpiti, e i pettorali gonfi, dove fece scorrere il dito descrivendone le forme. Si mirava allo specchio dello spogliatoio, si toccava languido e sfuggente, immerso nei fumi del vapore dell’acqua calda. Si piaceva e si apprezzava. Si estasiava di eccitazione alla vista di quel corpo così perfetto. Passò infine la mano tra i capelli per sistemarsi il ciuffo che cadeva all’ingiù, bagnato da gocce di sudore; una rugiada grondante sulla pallida pelle sfumata rosa.
Che poi non saprei, Diletta pure mi fa impazzire ma è troppo secca.
Ah, sì. Troppo secca. A me piace un fisico snello.. e…
Vabbè tu sei fissato, Ste. Sei malato.
Ognuno ha i suoi gusti.
Disse stizzito colpito dall’immagine riflessa sulla lamiera dell’auto. Appariva fin troppo gonfia in alcuni punti.
Certe volte non lo sopporto. È troppo vanitoso. Ma fa bene. Vorrei essere come lui. Perché non sono come lui?
Finirono il loro bombolone con la crema, un’eccezione che Stefano a malincuore si concedeva il sabato. E lasciarono cadere le carte per terra, incuranti sia della strada sia delle persone che avrebbero potuto guardarli severi. Avrebbero potuto, infatti, perché erano tutti impegnati in discussioni.
Mattia si accese una sigaretta, con una rapida mossa con lo zippo. Aspirò, tirando via qualche millimetro; la punta lampeggiò e poi si attenuò. Poggiò col ginocchio flesso, il piede sulla ruota dell’auto, attirandosi un’occhiata di Stefano e tenne la sigaretta stretta tra due dita, divertendosi mentre parlava a ruotarla per lasciare dei cerchi di fumo nell’aria. Si sentiva più sicuro di se, con quel veleno.
Stefano si allontanò, invece. Sebbene quell’accessorio lo avrebbe reso più macho, la sigaretta sarebbe stato il male per la sua pelle e il suo fisico e dunque l’apparenza della sua età.
Ti stavo dicendo… Ad Alice devo chiedere il numero. Sì, me la devo fare.
Sì, te la devi fare.
È questione di chimica, inutile. Devo scopare. Basta queste ragazzette con la Smart e la borsa Gucci. Voglio una che vesta almeno Prada e che si sappia comportare.
Secondo me si veste male. Non puoi portare il blu col nero, no.
Tu sei rimasto indietro nel tempo, Ste. Ormai i colori si scambiano e quelli che non riesci a vestire, alla fine, ci riesci ad abbinarli. Prendi i pellicciotti a giacchetta. Non hanno senso! Eppure le grandi fighe sono lì ad indossarli. E tu le guardi e pensi se il pelo lo hanno dentro anche.
Bella questa, si mise a ridere di gusto perché la battuta era geniale.
Davvero! A me farebbe orrore vedere una con il cespuglio. Non siamo mica negli anni ottanta eh. Depilatevi, depilatevi.
Stessa cosa! Si depilano gli uomini, perché non dovrebbero le donne? Non posso restare con i peli tra i denti.
Che schifo, Ste. Adesso non mi leverò più questa immagine dalla testa.
Effettivamente Mattia continuò a pensare a Stefano che praticava del cunnilingus. Ma, vanitoso com’era, se lo immaginò per un momento che correva via in bagno a lavarsi i denti. Non poteva, secondo Mattia, avere il timore di sporcarsi i denti. Questo pensiero lo fece rasserenare con sè stesso, pensando a quanto fosse semplice per lui, non bello quanto Stefano, a prendersi meno sul serio.
Dai Ste, andiamo a farci una giocata a bigliardo. Ci stai?
Ovvio!

L’orologio digitale nell’auto segnava le 4 e 35. Il giorno dopo era giunto, avvistato in in un leggero albeggiare. Per loro però, la notte non era ancora finita. Avevano tappe fissate per ogni ora, del resto non era il loro primo sabato insieme e il giorno dopo non avrebbero avuto nulla da fare.

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