mercoledì 20 febbraio 2013
Vita di Pi. [Recensione]
Ang Lee, che ci ha abituati ad un cinema struggente ed elegante, segna il suo esordio nel 3D con un salto che lascia il segno e un punto di vista sul misticismo.
Pi è il figlio di un proprietario di uno zoo in India.
Trascorrendo l'infanzia tra gli animali, si fa strada nei suoi pensieri l'idea che essi possano avere un'anima; il padre però, uomo razionale e scientifico, lo indirizza verso una strada contraria. A causa poi della situazione economica, la famiglia è costretta ad imbarcarsi con i suoi animali per il Canada.
Ma una tempesta distrugge la nave e uccide l'equipaggio: gli unici superstiti saranno Pi e una tigre del Bengala.
Durante l'inaspettato viaggio per l'Oceano Pacifico nascerà uno straordinario rapporto con l'animale.
Progetto travagliato per il casting, che a detta del regista doveva essere il più internazionale possibile, scelto uno sceneggiatore molto abile nella compilazione di storie strappalacrime e cioè David Magee, conosciuto per Neverland, il film fu completato nella scrittura nel 2010.
Tratto dall'omonimo romanzo del canadese Yann Martel, è un miscuglio di visioni mistiche e filosofiche unite ad un sapiente uso degli effetti visivi.
A differenza di una pellicola di formazione sopravvalutata come The Millionaire, qui, il tutto si sviluppa in una banalità non necessariamente stucchevole. Se la crescita mentale del giovane protagonista è incentivata e aiutata dalla razionalità acuta e ferrea del padre, per quella spirituale al contrario, assistiamo ad una esperienza diretta con l'oggetto. Lo sviluppo di un ragazzo è mediamente condizionato dalla famiglia, dalla società e dall'ambiente in cui vive; nel caso specifico del film si assiste ad uno scontro diretto con quello che è il vero significato di "crescita".
La narrazione centrale procede lenta e con tempi che lasciano allo spettatore la possibilità di interpretare al meglio alcuni elementi.
Un paragone azzardato ma non del tutto fuori luogo con l'Odissea perchè ci troviamo di fronte alle metaforiche difficoltà, rappresentate dalla tigre, della crescita di un adolescente in uno spaventoso oceano di incomprensione. Ma che possono benissimo essere anche quelle di un uomo che cerca la fede ma ha paura di non trovarsi sul giusto cammino.
Pi si ritrova infatti a dover combattere la solitudine e l'aiuto in questo caso viene dall'elemento "tigre" che con la sua ferocia lo mantiene vigile e attento a non cadere nella trappola dell'abbandono. Un rapporto dualistico, come nel più classico dei romanzi di Salinger, che porterà ad un lieto fine e non poche domande su ciò che si è visto.
Personalmente un film valido sotto ogni punto di vista ma che eccelle solo negli aspetti visivi.
marcodemitri®
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento